Ciao, io sono Eugenio Radin e questa è la newsletter in cui parlo di filosofia e argomentazione: uno strumento per pensare e per salvarsi dal naufragio. Oggi parliamo di dissing e della triste lezione della musica contemporanea.
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Quando i pianisti sono animali
Nella storia della musica la canzonatura, la presa in giro, la citazione burlesca hanno sempre rappresentato un raffinatissimo divertimento intellettuale per compositori e ascoltatori di ogni sorta. Tchaikovsky non si preoccupa di accennare al tema della Marsigliese nella sua Ouverture 1812, per farsi beffa dei francesi sconfitti nella campagna di Russia; Saint-Saëns prende di mira l’intera categoria dei pianisti, trattandoli come bestie nel suo Carnevale degli animali e affiancandoli a galli, elefanti, e tartarughe. Infine (ma gli esempi sarebbero davvero moltissimi) Franco Battiato, in tempi più recenti, ci ha informato con nonchalance che “a Beethoven e a Sinatra preferisce l’insalata”, che “non sopporta i cori russi” e che “la musica contemporanea lo butta giù”.
Tali vilipendi, nella maggior parte dei casi, non sono altro che simpatici escamotage tramite cui affermare una propria idea artistica e musicale, punti di partenza per poter dire qualcosa di originale. La presa in giro si scioglie così all’interno della nuova composizione, che viene poi citata e ricordata non per l’intenzionalità denigratoria ma per i suoi effettivi meriti artistici. Ci ricordiamo di Tchaikovsky per la sua grande potenza espressiva; di Saint-Saëns per il gusto caustico e per la capacità inventiva; ascoltiamo Battiato non per antipatia nei confronti di Sinatra, ma per la sua abilità nell’unire musica pop ed elementi sperimentali.
Ma se spogliamo il fenomeno del dissing della sua attualità ingiuriosa; del chiacchiericcio gossipparo privo di ogni profondità; dal fenomeno mediatico ed economico che sta alle sue spalle… cosa rimane? Nulla di più, temo, che attimi di imbarazzante silenzio.
Mi si dirà che sono un boomer
Per chi fosse tanto fortunato da non sapere di cosa stiamo parlando, mi riferisco alla recente lite tra i rapper Fedez e Tony Effe, che si sono dedicati l’un l’altro una serie di canzoni-canzonature per insultarsi e prendersi in giro. Per chi volesse soddisfare la propria sete di notizie o capirci qualcosina in più, qui la vicenda è spiegata in maniera più approfondita. Per quanto mi riguarda ho detto già abbastanza.
A dire che era meglio la musica di una volta; che i nuovi artisti sono diseducativi; che il nostro voyeurismo per l’affaire “Fedez vs Tony Effe” è il sintomo di una malattia pandemica ancor più seria del Covid, rischio di essere inserito nelle liste di proscrizione dedicate ai boomer (altra terminologia privata di ogni contesto e utilizzata ormai del tutto a sproposito come novella forma di dissing intergenerazionale).
Ma non è così. Nel duplice senso che A) non sono un boomer (e magari lo fossi! In questo momento mi starei godendo la mia casa di proprietà e il mio lavoro stabile, se non addirittura la mia pensione d’oro); B) non covo nessun astio verso le nuove generazioni e verso le loro provocazioni. Tuttavia ci tengo a riflettere, caso per caso, su quali di queste provocazioni possano trasformarsi in stimoli di cambiamento positivo e quali invece rischino di essere solamente esempi di degenerazione del gusto. Purtroppo il dissing tra rapper mi sembra rientrare al 100% nella seconda categoria.
Visto poi che sulle fallacie argomentative ci ho scritto un libro ci tengo a sottolineare per chi non se ne fosse mai accorto che quello del boomerismo non è altro che un perfetto esempio di argomentum ad personam: lo sgambetto retorico con cui, al posto di contro-argomentare una tesi su cui si è in disaccordo, si offende l’interlocutore, spostando l’asse del discorso dalle idee a chi le esprime. Insomma: dire semplicemente che un certo giudizio è “da boomer” non spiega in alcun modo perché quel giudizio sia errato.
Ergo, ignorerò la condanna con stoicismo, e proseguirò con l’argomentazione.
Di che influencer abbiamo bisogno?
Passiamo da un inglesismo all’altro e saltiamo da boomer a una parola centrale della nostra epoca:
Influencer - s. m. e f. Personaggio di successo, popolare nei social network e in generale molto seguìto dai media, che è in grado di influire sui comportamenti e sulle scelte di un determinato pubblico. (def. Treccani)
Ça va sans dire, il pubblico su cui Fedez e Tony Effe sono in grado di influire è molto vasto: un totale, solo su Instagram, di 17 milioni di utenti.
Vista la carica virale dell’influenza, mi sembra più che legittimo cercare di indagare la pericolosità del bacillo trasmesso. Insomma: qual è il messaggio che queste personalità stanno lanciando in rete, a tutti i loro seguaci?
Nella sua banalità, il messaggio mi sembra drammatico: le incomprensioni, i disaccordi, non vanno risolti con il dibattito rispettoso ma con l’offesa. Infierire sull’interlocutore è cool. La discussione è vinta da chi sa colpire l’avversario in maniera più efficace e in maniera più creativa.
Non sono certo che i protagonisti dei vari dissing musicali siano consci di questo. Credo invece che spesso, dietro al personaggio, si nascondano persone molto più sensibili ed educate di quanto sembri, che vestono i panni del gangster per meglio impersonare l’immaginario rap. Il problema, però, è che distinguere la persona dal personaggio è un compito estremamente difficile, che per molti utenti social non è scontato.
In uno scenario in cui il dibattito pubblico (su internet, in tv e nella scena politica) è sempre più incentrato su neo-verbi come dissare, blastare, flexare, triggerare, ecc; in cui anche molti giornalisti e molte istituzioni puntano a demolire i loro avversari anziché a dialogarci - a decostruirne la credibilità tramite sgambetti, allusioni e tranelli machiavellici; in un contesto come quello appena descritto, simili episodi ci insegnano che questo è esattamente il modo in cui vanno gestiti i conflitti, che è “cosa buona è giusta, nostro dovere e fonte di vittoria”.
Ma, a guardar bene, abbiamo ben poco da vincere. Rinunciare alla nobile arte della disputa, che è fatta anzitutto di ascolto e di rispetto, di argomentazioni costruite razionalmente e di scambi affilati, duri, ma galanti; portare sul palco le proprie liti private, scegliendo di mostrare il lato più volgare di sé stessi e di darlo in pasto all’arena social; tutto ciò è l’esatto opposto di ciò che servirebbe per costruire una comunità virtuosa e una buona idea di futuro. È l’esatto opposto di ciò che da sempre ci insegna la filosofia.
Non facciamo la buoncostume
Le obiezioni a tutto questo mio discorso potrebbero essere due. La prima è che la musica ha uno scopo estetico, non morale; che non dobbiamo comportarci da buoncostume, ponendo un freno etico alla creazione artistica; che gli antieroi sono sempre esistiti e che questo discorso, dal sapore reazionario, è già stato usato per criticare grandi artisti del passato e opere che si sono poi rivelate grandi capolavori.
A questa prima obiezione pongo due contro-argomenti, che mi sembrano importanti.
Il primo è che, così com’era per Tchaikovsky, per Saint-Saëns o per Battiato, se la musica dev’essere giudicata sul piano estetico, ci dev’essere un qualche valore estetico da giudicare. Ma cos’abbiamo da dire sugli scambi tra Fedez e Tony Effe a livello musicale? Se effettivamente esiste un qualche merito in tal senso, discutiamone pure: sono sicuro che le altre questioni passerebbero in secondo piano. Il mio timore, però, è che in questo caso il valore musicale non ci sia e che dunque l’unico piano su cui quelle canzoni possono essere giudicate è proprio il piano etico.
Il secondo contro-argomento è che se è vero che gli antieroi sono sempre esistiti e che lo scopo primario dell’arte non è la legislazione morale, è altrettanto vero che non si è mai visto Oscar Wilde criticare l’immoralità dei politici; Alex DeLarge non è mai stato invitato a parlare di diritti dei lavoratori; Darth Vader non ha mai preso parte a un convegno sulla famiglia tradizionale.
Al contrario, Fedez e gli altri rapper italiani non perdono occasione per dire la loro su temi squisitamente etici. L’obiezione rischia dunque di essere contraddittoria: non posso pensare di esprimere pubblicamente la mia opinione su questioni morali, ma di essere poi esentato da giudizi morali sui miei stessi comportamenti. Non posso essere al contempo un eroe e un antieroe.
La banalità del male
La seconda obiezione è più qualunquista, ma anche (temo) più diffusa. È l’obiezione di chi risponde a queste osservazioni con un’alzata di spalle, con un “Che sarà mai!”, convinto che la volontà di rimanere aggiornato sui gossip non sia il sintomo di un degradarsi dei costumi, ma una semplice banalità, su cui scambiare due chiacchiere a fine giornata, per distrarsi dai tanti, troppi problemi che già abbiamo.
Di fronte a questa obiezione, sarebbe il caso di recuperare la grande lezione di Hannah Arendt. La grande filosofa tedesca ci ha già mostrato una volta (in un caso ben più serio del presente, con cui non è il caso di fare paragoni) come il male non sia un qualcosa di radicato e di profondo, ma un comportamento estremamente banale, proprio come può sembrarci banale il nostro interesse per i dissing.
È proprio quando avviene il crollo collettivo del senso morale; quando non ci prendiamo più il tempo di riflettere sulle conseguenze delle nostre azioni; quando ci limitiamo a condividere (magari sotto forma di post social) i pensieri che altri hanno confezionato per noi, senza analizzarne la struttura e il valore; quando ci limitiamo a fare ciò che gli altri si attendono da noi; quando rinunciamo a indirizzare la nostra vita verso un’idea di Bene… è proprio allora che il male inizia a germogliare.
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Questa settimana il consiglio si distacca dal tema della newsletter, ma ci tengo a suggerirvi questo progetto di Benedetta Santini (in arte filosofia e caffeina), una mia “collega” creator.
Che Tragedia! è un podcast che potete ascoltare su Spotify e sulle altre piattaforme streaming, in cui si parla di tragedia greca da una prospettiva filosofica e psicologica.
Questa settimana ho avuto un paio di lunghi viaggi in macchina e mi sono ascoltato tutti gli episodi già usciti, con grande piacere e soddisfazione.
Al di là del racconto della tragedia in sé, ciò che ho apprezzato è la capacità di gettare luce su certe dinamiche psicologiche che l’opera in questione mette in atto, il tutto con simpatia e leggerezza.
Credo sia giusto dare risalto anche ai bei progetti di quelli che potrebbero sembrare i miei competitor, ma che preferisco considerare alleati nella grande battaglia per la cultura e per la conoscenza! Buon ascolto