Ciao, io sono Eugenio Radin e questa è la newsletter in cui parlo di filosofia e argomentazione: uno strumento per pensare e per salvarsi dal naufragio. Oggi parliamo del problema dell’opinionismo e della lezione dello stoicismo.
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Quando ci troviamo testimoni di un avvenimento importante; di un fatto che cambia le nostre prospettive e che tocca le corde dell’emotività, risvegliando rabbia, paura o euforia; quando assistiamo a questo tipo di eventi la tentazione che ci assale è quella di dire subito la nostra opinione: di esorcizzare la nostra frustrazione o il nostro entusiasmo pubblicando subito qualche post sui social o intasando i nostri gruppi WhatsApp con commenti a caldo, analisi improvvisate e apparenti certezze.
Ma questa tentazione non sempre è un bene. Anzi, non lo è quasi mai. E spesso porta a sproloqui di cui prima o poi finiremo per vergognarci.
Se c’è qualcosa che la filosofia ci ha sempre insegnato, è che a contraddistinguere l’uomo saggio è proprio la capacità di dominare le proprie passioni - è proprio la capacità di non farsi vincere dal chiasso della tempesta, ma di mettere ordine nei propri pensieri per elaborare idee adeguate e per parlare solo quando ci sarà qualcosa di interessante da dire.
L’occhio del ciclone
In queste ore sembra esserci un’unica notizia che è necessario commentare: la vittoria di Trump alle elezioni americane.
Così come siamo stati tutti dotti virologi durante il Covid; raffinati strateghi militari allo scoppio del conflitto russo-ucraino ed esperti di geopolitica mediorientale al riaccendersi di quello israelo-palestinese, ora siamo diventati tutti politologi e americanisti, pronti a offrire le nostre conoscenze a beneficio dell’umanità.
E così, presi dalla smania di volerci mostrare preparati, finiamo spesso per dire fesserie che possono farci fare la figura degli schiocchi nella migliore ipotesi o, nella peggiore, possono contribuire a diffondere disinformazione.
Questa fretta, questa impetuosità, è ormai fuori controllo e affligge anche i canali di comunicazione più autorevoli. Proprio mercoledì mattina, su Radio 1, sentivo un giornalista affermare che la vittoria di Trump era stata nettissima e che dunque tutti i sondaggisti che andavano blaterando di incertezza e di battaglie all’ultimo voto, avevano torto.
Ma se ci prendiamo il tempo e la giusta attenzione per guardare i risultati con un po’ più di calma ci accorgiamo che non avevano torto. In moltissimi stati chiave (come la Pennsylvania, il Wisconsin, il Michigan…), cioè proprio in quegli “stati in bilico” che hanno determinato alla fine la vittoria repubblicana, il vantaggio di Trump su Harris è minimo: in alcuni casi un solo punto percentuale o poco più - un dato che rendeva di fatto impossibile qualsiasi previsione. È invece lo stesso sistema elettorale americano (che prevede che, nei singoli stati, chi prende anche solo un voto in più del 50% si porta a casa tutti i grandi elettori) a rendere possibile, allo stesso tempo, il testa a testa e la vittoria netta.
Ribadisco: è vero che la vittoria repubblicana è stata netta. Ma non è vero che i sondaggisti si sbagliavano. Nel suo piccolo, questa piccola sfumatura è comunque un esempio di disinformazione, trasmessa sulla prima emittente radiofonica pubblica.
Ma questo è solo un esempio. In TV la necessità di riempire lunghe e inesauribili maratone volte a soddisfare la compulsione del pubblico, porta a straparlare; i quotidiani si gonfiano di oroscopi e di esercizi di futurologia, con cui si cerca di definire (prima ancora della fine dello spoglio) cosa ci aspetta ora e che cosa dovremmo fare; sui social si assiste a quelle che assomigliano a vere e proprie crisi di nervi, dove si arriva a parlare di ora più buia, paragonando la vittoria (democratica) di Trump al momento di massima potenza del regime hitleriano.
Tutto questo chiasso è un atteggiamento profondamente anti-razionale e anti-filosofico. È una retorica cieca che finisce per alimentare proprio quell’emotività di cui si nutrono il trumpismo e i suoi alleati.
Per la cronaca: da europeo, non sono felice della vittoria di Trump. Ma non per questo credo che il mio dispiacere debba trasformarsi nella miccia di un delirio emotivo millenarista.
L’ira non aiuta la virtù - la lezione di Seneca
Non sto dicendo che l’emotività sia sbagliata o che provare emozioni forti, in queste situazioni, non sia qualcosa di naturale. Ciò che invece voglio affermare è che l’emotività, da sola, non dovrebbe mai trasformarsi nella guida del nostro parlare e del nostro agire e che la fretta è una cattiva consigliera. Che se vogliamo mantenere il controllo di noi stessi, dobbiamo razionalizzare queste emozioni, prendendoci il tempo di farle sedimentare.
Come già detto, la filosofia è maestra nell’insegnarci a controllare le emozioni. In un momento come questo recuperare la lezione dei grandi pensatori del passato potrebbe dunque essere particolarmente utile per evitare di parlare a sproposito e per prendersi il giusto tempo per misurare i propri pensieri. Ecco, ad esempio, cosa ci insegna Seneca a proposito dell’Ira che molti di noi in questi giorni stanno provando:
Le passioni sono tanto cattivi inservienti quanto cattivi comandanti. Perciò la ragione non assumerà mai come aiutanti le passioni sprovvedute e violente, sulle quali essa non ha alcuna autorità e sa di non poter mai frenare, se non opponendo loro passioni equivalenti e simili, come il timore all’ira, l’ira all’inettitudine o la cupidigia al timore.
Alla virtù, non accadrà mai la sciagura di vedere la ragione rifugiarsi dietro i vizi! Un animo così non può fruire di duratura tranquillità: è inevitabile che rimanga scosso ed agitato l’uomo che cerca sicurezza nei suoi mali, che non sa essere forte senza l’ira, operoso senza la cupidigia, tranquillo senza il timore: deve vivere sotto tirannide, colui che finisce schiavo di una passione!
(Seneca, De Ira, 9,4-10,2)
Non cerchiamo allora la nostra sicurezza nelle passioni tristi, nella paura e nella rabbia: nonostante i falsi miti che il romanticismo ha voluto divulgare, le scelte migliori, i progetti più fertili non derivano dai sentimenti esasperati, ma dalle analisi lucide e lente.
Prendersi il tempo che serve
Un buon esercizio filosofico è proprio quello di esercitare la calma, di addestrarsi a trattenere gli impulsi e a guardare agli eventi con il distacco del saggio, perché solo in questo modo potremo veramente capire quale sia il modo migliore per reagire.
Sugli esiti delle attuali elezioni arriveranno di certo ottime e dettagliate analisi, ma dovremo attendere qualche tempo. Sta qui, infatti, la differenza tra il vuoto opinionismo e il prezioso approfondimento: il primo è veloce, breve, pulsionale e manicheo; il secondo è lento, complesso, richiede tempo e fatica, ma è obiettivo e arricchente.
Di fronte agli avvenimenti che cambiano le prospettive, allora, possiamo scegliere se nutrirci di istinti, precipitarci sui social e scrivere di tutta fretta la nostra (sicuramente imprescindibile) opinione, o fermarci ed ascoltare - sfruttare questo periodo per provare a capire, con la giusta calma, cos’è successo. Ciò significa studiare la storia e i sistemi politici; analizzare per bene i dati; preferire uno studio ben condotto a un editoriale scritto tutto d’un fiato; cercare di capire le ragioni profonde e non soltanto gli sbagli superficiali; spegnere la TV e aprire un libro; non fermarsi ai contenuti che l’algoritmo ci suggerisce, ma sforzarci di cercare contenuti di valore; lasciar perdere la retorica dei flagellanti pronti a scommettere sulla fine del mondo, e unirsi a chi, con serietà e competenza, giorno dopo giorno lavora per costruire nuove strade.
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Lo stoicismo è una delle correnti filosofiche che più di altre ci aiutano a trattare in modo adeguato la nostra emotività.
Se, come me, siete tendenti all’ira, questo testo senechiano può essere un buon alleato.
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