Nelle scorse settimane ho fatto una cosa totalmente fuori moda: ho creato un album fotografico. Un album stampato intendo, cartaceo! Con all’interno cento foto scattate nel corso del 2024. Non sono tutte foto belle, a dire il vero, ma sono tutte foto significative che, messe insieme, ricostruiscono la memoria dell’ultimo anno vissuto.
Oggi vorrei parlarvi brevemente non solo del perché ho scelto di fare una cosa così retrò, ma soprattutto delle riflessioni che, nel farla, mi sono sorte a proposito del nostro rapporto con la memoria e del come questo rapporto sia profondamente cambiato negli ultimi decenni.
Seguitemi quindi e facciamo un piccolo tuffo nel passato. Prima però vi invito a iscrivervi alla newsletter se ancora non l’avete fatto. Per voi è un piccolo gesto, ma per me è molto molto importante.
Custodire la memoria
In passato la fotografia (non tanto la fotografia d’arte, ma la fotografia come pratica domestica) è stata soprattutto questo: un modo per custodire la memoria.
Che fosse la memoria di una vacanza, di un compleanno, di un proprio caro venuto a mancare, della propria fanciullezza smarrita… fare una foto significava immortalare un momento, ovvero, conservarlo per il futuro.
Le foto venivano scattate con parsimonia poiché il rullino ne poteva contenere soltanto un certo numero, e venivano poi sviluppate e conservate in un album, nella consapevolezza che un giorno qualcuno lo avrebbe sfogliato con nostalgica dolcezza.
La limitatezza del supporto (il basso numero di foto che era possibile scattare) era visto da tutti come un seccante limite - un inconveniente che costringeva a prendere per buono il primo scatto nonostante la possibilità di occhi chiusi, di dita erroneamente tenute davanti all’obiettivo o di passanti che entravano sbadatamente nell’inquadratura.
Per questo la rivoluzione digitale venne accolta come una conquista e, di fatto, lo fu.
Ma la rivoluzione digitale ha portato anche, come ogni rivoluzione, dei cambiamenti di cui forse in un primo momento non abbiamo colto l’importanza.
In primis l’aumento esponenziale del numero di foto eseguite (non si trattava di passare da 50 a 100, ma da 50 a 50 mila); in secondo luogo (dopo l’introduzione degli smartphone) il cambiamento del metodo di conservazione di queste immagini.
Vorrei approfondire questi due aspetti cercando di rispondere nel contempo a due domande:
la fotografia, al giorno d’oggi, è ancora un mezzo per custodire la memoria? Cosa cambia nel nostro rapporto con la memoria durante l’epoca digitale?
Partiamo dal primo punto.
Il paradosso di Netflix
La fotografia, chiedevamo, è ancora un buon mezzo per custodire la memoria? “Certo che sì!”; “Ancor più di prima!” verrebbe da rispondere, dal momento che aumentando il numero di foto aumenta anche il numero di momenti che sono stati rubati allo scorrere del tempo. Ma non è detto che questa sensazione sia corretta, poiché non tiene conto di un paradosso.
Vi sarete sicuramente trovati anche voi, qualche volta, di fronte alla situazione ben descritta da Zerocalcare nella scena che vi lascio qui sotto. Decidete di guardare un film su Netflix, ma poi rimanete ore a scrollare i diversi titoli presenti sulla piattaforma. E, alla fine, il tempo che avreste potuto dedicare alla visione film l’avete sprecato nel tentativo, vano, di scegliere quale film guardare.
È il paradosso della scelta: di fronte a un’immensa quantità di materiale tra cui scegliere rimaniamo come inchiodati e, alla fine, non scegliamo nulla - ci sembra di avere più scelta, ma è la stessa quantità a bloccarci. È come se l’essere umano potesse prendere decisioni solamente quando si trova entro certi limiti navigabili: di fronte all’immensità dell’oceano, l’orizzonte si perde e non si sa più dove sia il Nord.
Ho l’impressione che con le foto il meccanismo sia più o meno lo stesso.
Avere a disposizione moltissime foto ci dà l’impressione di conservare più memoria, ma alla fine, proprio perché gli scatti conservati sono moltissimi, il loro valore si diluisce; le immagini che cerchiamo si fanno introvabili. Così ci accontentiamo di averle lì, nell’illusione (un’altra illusione) che rimarranno lì per sempre.
Ma non è così. I nostri supporti, infatti, sono tutt’altro che eterni. Un tempo, dicevamo, le foto venivano stampate e conservate in qualche album di famiglia. La carta non era certo il supporto più resistente e sicuro che esistesse, ma continua ad esserlo più degli smartphone. Lo smartphone, infatti, ogni pochi anni muore, portando con sé nella tomba grandi quantità di informazione che ad esso avevamo affidato.
A chi non è capitato di cambiare telefono e di perdere numeri, appunti… fotografie?
Certo, questo problema si può aggirare con le soluzioni in cloud, che permettono di salvare le proprie memorie nell’etere, ossia: in un’enorme cartella drive con migliaia e migliaia e migliaia di scatti, con foto importanti mescolate con materiale del tutto frivolo, screenshot, meme inviati su WhatsApp… il tutto riunito un gigantesco inconscio in codice binario che nessuno avrà mai il tempo né la voglia di riordinare. Siamo sicuri, allora, che questo risolva il problema? Non sarà invece un inutile tentativo di preservare la memoria fintanto che la memoria, in noi, si dissolve?
Nella galleria del mio telefono sono conservate circa cinquemila foto scattate negli ultimi quattro anni. È una quantità di informazione enorme, che poggia sul filo del rasoio tra l’eternità e il nulla. Non è memoria. È illusione di memoria.
Per questo ho scelto di selezionarle e di creare un album con cento scatti, una quantità limitata ma a dimensione d’uomo, che ora è riposto tra gli scaffali della mia libreria e che potrò consultare quando ne avrò il desiderio.
Conservare significa selezionare
Tutto ciò, come dicevo, ha stimolato in me riflessioni più profonde, che vanno al di là della fotografia, e che riguardano la mutazione che il nostro rapporto con la memoria ha subito nel tempo. Poniamoci di nuovo, allora, la seconda domanda: cos’è cambiato nel nostro rapporto con la memoria, durante l’epoca digitale?
Riassumendo, la mia risposta è la seguente. Vi invito a leggere con attenzione, perché nel prossimo paragrafo si concentra quello che è per me il cuore di tutto il discorso:
In passato ricordare significava sforzarsi di salvare una certa quantità di informazione (foto, libri, testimonianze, reperti) dall’oblio. Ora invece ricordare significa cancellare la sovrabbondanza dell’informazione, che agisce come un rumore di sottofondo e ci impedisce di ascoltare la memoria - ricordare significa selezionare accuratamente le informazioni che possiamo e vogliamo conservare e interrogarsi sulla modalità migliore per farlo.
Per lo storico di oggi e di ieri la memoria è stata, anzitutto, un esercizio di archeologia - di reperimento di quelle fonti storiche che si erano salvate nel tempo. Sono fonti scarse, a tratti nulle, limitate da errori che, così come il disto posto davanti alla macchina fotografica, ne mettono in dubbio l’attendibilità e l’utilità.
Ma per lo storico del futuro il problema sarà diverso: la sua necessità sarà quella di trovare l’informazione necessaria all’intero di un immenso sistema di stoccaggio nel quale si rischia di perdersi, come in un labirinto.
Quale difficoltà vi sembra maggiore? Ricostruire un evento a partire da una quantità limitata e incompleta di informazioni, o ricercare quel singolo evento in un mare magnum di informazione, in una biblioteca tanto grande che non basterebbero dieci vite per consultare?
Forse non si tratta che di difficoltà diverse, ma la filosofia deve interrogarsi su come sia possibile organizzare una tale biblioteca, tenendo conto di fattori diversi: epistemologici, etici, tecnologici, giuridici, ecc.
È una sfida nuova per la filosofia, per la storia e per la nostra vita personale e familiare. Una sfida nuova, sì, ma una sfida importante, sulla quale dobbiamo iniziare a interrogarci sul serio. Ne va della nostra memoria, ovvero, della nostra possibilità di resistere alla morte.
Grazie per avermi letto fin qui, se vuoi puoi farmi sapere che ne pensi rispondendo a questa mail: leggerò con piacere il tuo commento. Ricordati anche di iscriverti alla newsletter se non vuoi perderti i prossimi articoli! Grazie per il supporto e alla prossima settimana.
Parlando di memoria e di fotografia, non potevo consigliare che un film: Memento, di Christopher Nolan.
Nolan è ormai un regista tra i più noti e acclamati, ma questo lavoro giovanile è rimasto, in un certo senso, appannaggio degli amanti del cinema d’essai. È un peccato perché, a mio parere, rimane uno dei lavori migliori del regista inglese.
Un thriller il cui protagonista, affetto da gravi perdite di memoria a breve termine, ripercorre a ritroso gli eventi, per cercare di sbrogliare la matassa e per capire cosa sia successo. Un capolavoro di montaggio e di sceneggiatura che va visto almeno una volta nella vita, quindi non fatevelo mancare.
Ciao Eugenio, complimenti, innanzitutto, per questa iniziativa. E' uno dei momenti più "rilassanti" della giornata. Comunque, non so perché, parlando di sovraffollamento di informazioni, mi è venuta in mente la scena finale dei "Predatori dell'Arca perduta" dove, alla fine di tutte le peripezie di Indy, l'importantissima Arca dell'alleanza viene stoccata in un gigantesco magazzino, insieme a milioni di altri reperti e, probabimente, dimenticata per sempre. Un saluto
Ciao Eugenio, hai mai letto cosa dice Eco riguardo all'argomento? Se non ricordo male, quando definisce l'enciclopedia parla anche dell'inevitabile selezione di informazione che riesce a sopravvivere al passare del tempo.
In questo senso penso che il processo nel futuro non cambierà, perché inevitabilmente l'informazione che non servirà, e perciò non opportunamente indicizzata, diventerà economicamente insostenibile da mantenere e uscirà automaticamente dall'enciclopedia.
Forse, rispetto al passato, abbiamo la percezione che i nuovi supporti fisici informatici e una certa stabilità politica internazionale garantisca la lunga durata dell'informazione, ma le notizie internazionali degli ultimi anni dovrebbero farci riflettere e spingerci a selezionare meglio le informazioni in modo da salvare in maniera appropriata ciò che è più importante; fino a qualche anno fa consideravo il Cloud uno dei supporti poi sicuri e affidabili, ma ultimamente questa sicurezza è molto diminuita.