Lo cantava anche Lucio Battisti: guidare a fari spenti nella notte è roba da pazzi. E allora perché tutti noi, nei nostri ragionamenti quotidiani, continuiamo a farlo?
Ciao, io sono Eugenio Radin e questa è la newsletter in cui parlo di filosofia e argomentazione: uno strumento per pensare e per salvarsi dal naufragio. Se ancora non sei iscritto, ti invito a farlo per non perdere le prossime uscite.
Ma ora bando alle ciance e partiamo!
Le tre rivoluzioni
Per molti secoli abbiamo gonfiato il nostro petto di fronte al mondo, convinti di essere i padroni dell’universo e di disporre di tutte le carte in regola per dominarlo. Che benessere che provavamo quando non sapevamo di non sapere! Per dirla con Alberto Sordi: noi eravamo noi, e gli altri non erano un ca**o.
Ma tutto questo benessere era destinato a finire.
Il primo scossone a questa rassicurante convinzione è arrivato con Copernico. L’astronomo polacco aveva infatti il pessimo vizio di stare a guardare il cielo (questi intellettuali, sempre con la testa tra le nuvole!).
Così, tra osservazioni, calcoli, discussioni e qualche piccolo rogo di infedeli (incidenti di percorso. Capitano anche ai migliori…) si è arrivati a capire che il centro dell’universo non siamo noi. Che la Terra è solo uno dei tanti sassolini che ruotano attorno a uno dei tanti soli, di uno dei tanti sistemi solari, che fanno parte di una delle tante galassie, che… insomma, avete capito l’antifona.
Poco male, avranno pensato gli uomini moderni dopo essersi rosi il fegato ed essersi mangiati il cappello: se non siamo al centro dell’universo siamo pur sempre al centro del creato e, in quanto immagine di Dio, occupiamo un posto privilegiato tra tutte le sue creature.
Qualche secolo di beatitudine. Relax. Pausa. Dopodiché è arrivato Darwin, che facendosi un bel giro su un brigantino col nome di un cane e passando il proprio tempo a osservare uccelli (questi intellettuali nullafacenti! Andassero a lavorare in miniera!) ha mostrato che tutta questa faccenda non è poi così vera e che, più che a Dio, assomigliamo ad un orango. “Doppio sgrunt!”, direbbero gli amanti di Topolino.
Vabbè dai, inutile piangersi addosso: l’hai mai visto piangere un orango? Saremo anche meno divini del previsto, ma almeno, a differenza degli animali, non siamo schiavi degli istinti. Abbiamo il totale controllo della nostra mente; ci vediamo chiaro. Siamo scimmie nude, ma abbiamo un dono più grande di ogni pelliccia: la Ragione, e la capacità di comprendere totalmente il mondo tramite l’utilizzo della logica, dell’intelletto, della scienza.
Orbene, questa fiducia incondizionata nella ragione ci ha accompagnati per molti secoli, ha orientato le nostre decisioni culturali, politiche, educative.
Esclusi dall’universo e dal creato ci siamo ritorti in noi stessi, identificandoci con la nostra più alta capacità mentale, la Ragione, e venerando la ragione come il Dio di una nuova religione moderna.
Ma c’era una terza rivoluzione che non avevamo previsto, iniziata con il romanticismo (che ha mostrato al mondo il potere del sentimento) ed arrivata a compimento con un medico ossessionato dal sesso e dalla cocaina, di nome Sigmund Freud (questi intellettuali! Una manica di depravati!).
Freud ha mostrato come il dominio della ragione non sia altro, di nuovo, che una mera illusione. Che la nostra coscienza è la punta di un iceberg (per usare un’abusatissima ma efficace metafora) in un mare di pulsioni che controllano gran parte delle nostre scelte.
La moda dell’irrazionalità
Fine delle cattive notizie, lo prometto.
Tutto questo tragico ridimensionamento del nostro Ego ha portato però a un effetto indesiderato o, per meglio dire, a un’esagerazione: oggi siamo passati dalla constatazione dei limiti della razionalità alla moda dell’irrazionalità.
Lo dimostra l’uso dispregiativo di alcuni appellativi come saputello, cervellone, nerd, sapientone; lo dimostrano i testi delle canzoni e le sceneggiature dei film che elogiano follia e fuga dalla ragione; lo dimostra, infine, l’affermazione del postmodernismo e del relativismo sia in ambito accademico sia nel comune modo di pensare delle persone.
Che cosa significa “nel comune modo di pensare”? Significa che molto spesso, oggi, diamo per scontato che la razionalità non serva a nulla. Che ciò che più conta è il sentimento, l’emotività, la creatività, la libertà da ogni schema.
Domandate a qualcuno se ritenga più utile, per la sua sopravvivenza quotidiana, studiare un manuale di logica o partecipare a un corso di comunicazione persuasiva: sono certo che molte persone opterebbero per la seconda ipotesi (e nel mondo di oggi non avrebbero tutti i torti).
Ma siamo sicuri che la terza rivoluzione prevedesse questo? Il totale abbandono della razionalità in favore dell’irrazionale? Siamo sicuri che si possa abbandonare la razionalità senza rinunciare alla possibilità di instaurare una qualsiasi discussione sensata? Paradossalmente, dovremmo pensare che chi si scaglia contro la Ragione, “abbia ragione”? Faremmo rientrare dalla finestra, almeno linguisticamente, ciò che avevamo appena sbattuto fuori dalla porta.
Non credo che le cose stiano così. Il fatto, piuttosto, è che noi esseri umani eccelliamo in uno sport estremo: quello che prevede di prendere un’intuizione brillante e di esacerbarla fino a renderla totalmente assurda.
A fari spenti nella notte
Cosa abbiamo fatto, quindi? Come il bambino che getta via il giocattolo non appena ne scorge un piccolo difetto, abbiamo abbandonato la fiducia nella ragione non appena ne abbiamo scorto i limiti.
Dal momento che la razionalità ha tradito la promessa di essere tutto, l’abbiamo ridotta a un niente.
Al suo posto abbiamo introdotto diversi surrogati: la persuasione a cui accennavo prima; lo storytelling; il mito della creatività e dell’ispirazione; il populismo; la sofistica; gli appelli all’emotività; la velocità nella fruizione dei contenuti; un nuovo modello di eroe, capace di liberarsi dai canoni della società e di infischiarsene delle convenzioni.
Il problema è che, rinunciando a una soluzione imperfetta ma efficace, rischiamo di andare verso decisioni imperfette e inefficaci.
Agli illuministi (che, a differenza di come li caricaturiamo, non erano degli ultra-razionalisti freddi e spietati) piaceva pensare alla Ragione come a un lume, capace di guidarci nella nostra strada. Bene, mantenendo la metafora, è come se all’improvviso ci fossimo resi conto che quel lume è incapace di illuminare la totalità della notte; che ci sono molti passi che vengono fatti in penombra e che la nostra lanterna rischia di spegnersi al primo sibilare del vento.
Eppure quale stolto, di fronte alla più totale oscurità, non farebbe di tutto per tenere accesa quel lume e non lo riterrebbe il suo bene più prezioso, la sua unica salvezza?
Quando guidiamo di notte, i fari della nostra auto non sono certo in grado di illuminare l’intero orizzonte, ma solo una piccola porzione di strada davanti a noi. Eppure, chi sarebbe il folle che, constatato questo limite, sceglierebbe di spegnere i fari e di basarsi sul proprio istinto o, peggio, sulla propria creatività?
Invece è ciò che molti di noi fanno ogni giorno: scegliere di rinunciare alla ragione, di considerarla un’illusione, un pericoloso mito, quando è l’unico piccolo lumicino che può permetterci di affrontare le tenebre.
Tenere acceso il lume
Ciò che dovremmo fare, invece, è cercare di mantenere acceso quel lume. Nonostante la fatica, nonostante l’imperfezione, nonostante le mille prove di irrazionalità di cui gli esseri umani sanno macchiarsi ogni giorno, esso infatti rimane l’unica via per usare le nostre conoscenze al fine di raggiungere i nostri obiettivi.
Se è vero che Troia non fu espugnata grazie ai sacrifici ad Ares e ad Apollo, né grazie all’impeto eroico di Achille, bensì grazie all’arguzia di Odisseo; allo stesso modo dovremmo considerare che i molti problemi che assediano il nostro presente non potranno essere vinti né dalle narrazioni né dalle urla, ma solo da un continuo e ininterrotto sforzo razionale.
Esso non ci permetterà certo di sistemare ogni cosa, né dovremmo essere tracontanti al punti di pretendere che sia così. C’è persino l’altissima possibilità che la logica non sappia rispondere ai più grandi e più importanti interrogativi della nostra vita (“Chi sono io?”; “Che cos’è l’amore?”; “Esiste un Dio?”).
Accettiamo i nostri limiti, ma non abbandoniamo la nave, continuiamo a remare, continuiamo a navigare, continuiamo a salpare. Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza.
Al termine di questa newsletter vi aspetterete un consiglio che promuova la logica e il ragionamento scientifico. E invece vi consiglio proprio uno dei grandi capolavori dell’irrazionale: Mulholland Drive, il meraviglioso film di David Lynch.
Questo infatti mi permette di aggiungere una piccola nota a margine: aver fiducia nella razionalità non significa affatto disprezzare tutto ciò che non le appartiene. Per quanto infatti essa rimanga la migliore arma a nostra disposizione nella comprensione del mondo, essa esclude inevitabilmente alcuni preziosi ambiti del nostro essere.
Ma attenzione: se non siete particolarmente appassionati di cinema, Mulholland Drive è un film che potrebbe lasciarvi indispettiti. Dimenticate infatti gli schemi narrativi classici, qui state per immergervi in un turbinio freudiano senza via di scampo. Ma è un’opera che va vista, almeno una volta nella vita.
Se però cerchi un qualcosa che possa migliorare la tua capacità razionale, allora non posso che consigliarti il mio libro, che puoi acquistare da qui!
Caro Eugenio (mi permetto la seconda persona per quella vicinanza informatica che ormai contraddistingue la nostra società), complimenti per l'ottima disamina, leggerla di prima mattina è una boccata di aria fresca in un mondo affumicato dalla superficialità e dall'esaltazione dell'irrazionale ("io sono così e ho il diritto di fare XYZ" senza curarsi delle libertà altrui). Cordiali saluti.
Messaggio importante, trasmesso efficacemente. Grazie Eugenio, è un piacere leggerti!