Le mucche che ascoltano Mozart inquinano di più
L'impatto ambientale del benessere animale e l'importanza dei trade-off
Ciao, io sono Eugenio Radin e questa è la newsletter in cui parlo di filosofia e argomentazione: uno strumento per pensare e per salvarsi dal naufragio. Oggi però parliamo di mucche, di musica e di quanto sia importante ricordarsi che, nella vita, molte volte i nostri obiettivi potrebbero essere in conflitto tra loro.
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Una stalla molto particolare
Esistono alcune stalle in cui la musica di Mozart risuona armoniosa tra un muggito e l’altro, in cui i bovini vengono massaggiati ogni giorno come pascià orientali e in cui il latte stilla più dolce, portando con sé gli aromi del nettare e dell’ambrosia e nutrendo i corpi stanchi dei fattori alla fine della giornata, in un quadro di bucolica età dell’oro.
Ok… ammetto di essermi fatto prendere la mano sul finale, ma la storia delle mucche che ascoltano Mozart, per quanto sorprendente, è vera e queste stalle esistono in diverse zone del mondo. L’apparente aumento della qualità del latte sarebbe merito del cosiddetto “effetto Mozart”: secondo alcuni studi, le musiche del compositore viennese avrebbero infatti il potere di stimolare varie capacità: quelle cognitive degli umani e (a quanto pare) quelle lattifere dei bovini.
Sull’effetto Mozart però, esistono studi contrastanti e la sua efficacia non è affatto accertata dal punto di vista scientifico (io, da vero reazionario musicale quale sono, credo che le mucche abbiano semplicemente mantenuto un certo buon gusto). Ciò che è dimostrato, invece, è che il benessere animale e la diminuzione dell’impatto ambientale sono due elementi in reciproco contrasto, purtroppo.
Cosa intendo dire? Che quando si parla di animali e di alimentazione potremmo essere costretti a scegliere tra il benessere delle bestie e l’impatto ambientale del loro allevamento. (Tenete duro! Vi prometto che tra poco vi spiego perché vi sto dicendo tutto ciò).
Prendiamo le due possibilità degli allevamenti intensivi (dove gli animali sono costretti in spazi più ristretti e alimentati a mangimi altamente nutritivi) e gli allevamenti estensivi (dove gli animali pascolano più liberi brucando l’erba dei prati). Verrebbe da pensare che una soluzione sia nettamente più virtuosa dell’altra: prediligere gli allevamenti estensivi, è senz’altro la cosa più sostenibile.
Purtroppo però non è così. O meglio: è così se ci limitiamo alla prospettiva animalista. Se però allarghiamo il campo alla prospettiva ambientalista, ci sono altri fattori che vanno tenuti in considerazione se non vogliamo cadere in un’ipersemplificazione della realtà:
Il primo grosso problema degli allevamenti estensivi è che consumano molto più terreno e quindi causano deforestazione e perdita di biodiversità (con tutte le gravi conseguenze che conseguono da ciò).
Se si vanno a calcolare le differenze di consumo di suolo di animali della stessa specie, ma cresciuti in zone del mondo con diversi tipi di allevamento, la differenza è lampante. In Europa (dove gli allevamenti sono per lo più intensivi) si producono 60Mt di carne all’anno utilizzando 280 milioni di ettari di terra. In Sud America (che utilizza molti allevamenti estensivi) si producono 45Mt di carne all’anno utilizzando 750 milioni di ettari di terra.Il secondo problema riguarda l’emissione di metano: i bovini allevati a mangimi proteici sono più efficienti nell’estrarre i nutrienti e possono ridurre la ruminazione, producendo di conseguenza meno metano ed inquinando molto meno dei loro fratelli che pascolano en plein air.
Lo stesso problema si pone quando siamo chiamati a scegliere che tipo di carne mangiare. Guardate brevemente questo grafico:
Potete notare facilmente che, a parità di quantità di carne, il numero di animali uccisi è inversamente proporzionale alle emissioni prodotte. Possiamo quindi scegliere di cibarci di polli, riducendo le emissioni ma aumentando le macellazioni, oppure di cibarci di manzi, riducendo enormemente le macellazioni, ma aumentando in egual misura le emissioni1. Anche qui, insomma, non esiste una scelta che tenga conto allo stesso tempo del benessere animale e del benessere ambientale.
Lo so che qualcuno starà pensando che c’è una terza opzione: quella vegana. Ma credo che anche questa scelta non sia facilmente perseguibile, né individualmente né politicamente. Se vorrete, ve ne parlerò in una prossima newsletter.
Ma perché vi dico tutto questo?
A dispetto di quanto sembra, non sono diventato un attivista animalista, né un esperto di dinamiche ambientali. Il motivo per cui vi sto raccontando tutto questo è un altro e ha a che fare con il modo in cui ragioniamo e in cui prendiamo le decisioni nella vita di tutti i giorni.
Spesso infatti, tendiamo a cadere in quell’ipersemplificazione della realtà di cui parlavo poco più sopra: crediamo che, davanti a un bivio, ci sia una strada giusta da prendere e una strada sbagliata e ci avviamo con sicurezza per quel sentiero che, secondo il nostro naso, è il migliore.
Nel fare questo, però, non teniamo conto di un concetto fondamentale: quello di trade-off. Ma cos’è un trade-off? È una situazione in cui è necessario operare una scelta tra due (o più) variabili, che sembrano entrambe desiderabili e necessarie ma che, per un motivo o per l’altro, sono tra loro contrastanti.
Quello degli allevamenti animali è un perfetto esempio di trade-off: salvaguardare l’ambiente e migliorare il benessere animale sono due azioni che sembrano entrambe necessarie, ma in alcuni casi sono tra loro contrastanti.
La nostra quotidianità è piena zeppa di trade-off: pensate agli anni del COVID. Il governo doveva cercare di mediare tra la diminuzione dei contagi e il benessere economico e sociale. Entrambi questi elementi sembravano necessari, ma il primo richiedeva di aumentare le misure restrittive, il secondo di diminuirle. Trade-off!
Oppure ancora: tutti noi pensiamo che la politica dovrebbe favorire l’impresa, attirare investitori e non ostacolare il mercato. Ma pensiamo anche che essa dovrebbe migliorare la sanità, l’istruzione ed aumentare gli investimenti pubblici. Non tutti però ci accorgiamo che tra questi due obiettivi c’è un trade-off: per favorire l’impresa, attirare investimenti e non ostacolare il mercato sarebbe necessario abbassare le tasse; ma abbassando le tasse si rischia di non avere abbastanza entrate per finanziare gli investimenti pubblici.
Ora, potreste pensare che i trade-off siano un ostacolo insormontabile (e in parte lo sono), ma io credo che l’ostacolo sia piuttosto un altro: ovvero il fatto che affrontiamo questi problemi con l’ideologia anziché con il metodo e con il ragionamento.
Per sconfiggere il trade-off, dobbiamo prima vederlo
La maggior parte delle volte, di fronte a queste e a tante altre questioni (ricchezza VS tempo libero; privacy VS sicurezza; tecnologia VS occupazione; pace VS giustizia internazionale ecc.) non riconosciamo nemmeno il trade-off e rispondiamo per slogan, schierandoci solidamente dal lato che ci fa più comodo, ignorando la complessità della questione.
Come scrive giustamente Alessandro Cravera sul Sole 24 Ore: «Un’efficace gestione dei trade-off richiede due fasi fondamentali. La prima di queste è riconoscere il trade-off, farlo emergere con chiarezza. Può sembrare una banalità ma non lo è. Se il trade-off non emerge con chiarezza, ciò che normalmente accade è che gli esperti di uno degli obiettivi in relazione inversa polarizzino la strategia di gestione determinando effetti negativi sull’obiettivo contrapposto. Inoltre, se il trade-off non è chiaramente riconosciuto, ogni scelta strategica può determinare conseguenze inattese negative che sorprendono il decisore»2.
Insomma, per evitare di peggiorare la situazione con soluzioni semplicistiche, dovremmo anzitutto esercitare un positivo dubbio sulle nostre certezze, domandandoci sempre se, dietro a scelte che ci sembrano ovvie ed evidenti, non si nasconda qualche pericolosa contraddizione. Dovremmo poi fuggire dalle soluzioni giacobine o manichee, che polarizzano le questioni rendendo definitivamente impossibile qualunque passo avanti.
Infine, dovremmo imparare a costruire dibattiti edificanti, mettendo assieme le voci di esperti diversi: scienziati, veterinari e allevatori; virologi, psicologi ed economisti; liberali e socialisti. Non per farli scannare tra di loro in una sanguinosa arena televisiva, dove ognuno propaganda il suo slogan e dove non c’è spazio per il dialogo; ma per mettere assieme le idee, rinunciando alla supponenza di sapere e cercando di ampliare lo sguardo, al fine di trovare la soluzione più equa ed efficace.
Grazie per essere arrivato fin qui! Noi ci rileggiamo alla prossima uscita. Ricordati, se ancora non l’hai fatto, di iscriverti alla newsletter per non perdere nessun aggiornamento!
Visto che (indirettamente) abbiamo parlato di ambiente e di trade-off ambientali, vi consiglio un libro che qualche anno fa è stato capace di mettere in dubbio alcune mie certezze e di stimolare interessanti approfondimenti.
Non sono d’accordo con tutto ciò che viene detto in Elogio della crescita felice, ma non è necessario concordare al 100% con un testo per poterlo apprezzare. Reputo però che l’idea di fondo sia importante: l’ambientalismo è un valore, così come lo è il benessere economico. Sia tralasciare l’uno che tralasciare l’altro può portare con te un gran numero di danni. È dunque fondamentale riconoscere il trade-off e cercare di risolverlo non con gli estremismi, ma con la razionalità.
Se ti fa piacere, puoi acquistare il libro anche dalla mia vetrina Amazon, in questo modo il prezzo per te rimarrà invariato, ma parte di esso andrà a sostegno del mio progetto di ricerca. Grazie!
Se volete approfondire l’argomento, vi segnalo due fonti:
- questo articolo di Our World in Data, che riporta diversi dati: https://ourworldindata.org/what-are-the-trade-offs-between-animal-welfare-and-the-environmental-impact-of-meat
- il libro divulgativo di Giacomo Moro Mauretto: Se pianto un albero posso mangiare una bistecca?, Mondadori 2023, cap. 9.
https://www.ilsole24ore.com/art/qualche-consiglio-gestire-trade-off-un-mondo-complesso-AELAdPQC
Illuminante come sempre, Eugenio. Il punto generale sui trade-off e come affrontarli è giustissimo e, nella mia esperienza, insufficientemente compreso. Riguardo il punto particolare dell'impatto ambientale del benessere animale, sono curioso di leggere perché reputi la "terza opzione" vegana non facilmente perseguibile. Se ne scriverai in futuro, leggerò con interesse!