Un mondo orwelliano
È opinione diffusa, in questi tempi, che nel mondo si stia avverando l’oracolo orwelliano - che la politica internazionale e l’informazione pubblica stiano assumendo tratti inquietantemente distopici e totalitari, com’era in quel romanzo certamente grande, ma forse addirittura profetico, che si intitola 1984.
In quel romanzo il regime assolutista che guidava la politica occidentale poneva le sue radici nel bispensiero, ovvero in un meccanismo propagandistico che consentiva di passare per vera qualsiasi affermazione e il suo opposto, a seconda della volontà del Partito.
Ecco in cosa consiste il bispensiero, nelle parole dello stesso Orwell:
Sapere e non sapere; credere fermamente di dire verità sacrosante mentre si pronunciavano le menzogne più artefatte; ritenere contemporaneamente valide due opinioni che si annullavano a vicenda; sapendole contraddittorie fra di loro e tuttavia credendo in entrambe, fare uso della logica contro la logica; rinnegare la morale proprio nell'atto di rivendicarla; credere che la democrazia sia impossibile e nello stesso tempo vedere nel Partito l'unico suo garante; dimenticare tutto ciò che era necessario dimenticare ma, all'occorrenza, essere pronti a richiamarlo alla memoria, per poi eventualmente dimenticarlo di nuovo.
Non sembra così romanzesco. È innegabile che qui la fantasia abbia qualche punto di contatto con la realtà. Molti di noi avranno l’impressione di conoscere bene questo bispensiero che pare aver travolto la politica internazionale. Chiamare “pace” la sopraffazione e chiamare “verità” la menzogna non sono più abitudini così fantascientifiche. Sostenere oggi l’invaso e domani dimenticarsene, schierandosi dalla parte dell’invasore; invertire i ruoli; raccontare bugie passandole per fatti; ergersi a difensori della democrazia fintanto che, pezzo dopo pezzo, ci cerca di demolirne le istituzioni, limitare la privacy di dipendenti pubblici e privati… tutto ciò sembra diventato parte di un sinistro programma politico abbracciato dalle diverse superpotenze mondiali.
Di fronte a questa situazione, si rende necessario riflettere sul futuro dell’Europa, ovvero sul nostro futuro. E di fronte a questo futuro, al momento, si ergono due grandi rischi.
Il cavallo Boxer e il Wishful Thinking
Per illustrare il primo rischio rimaniamo su Orwell, ma passiamo all’altro suo grande classico, La fattoria degli animali, e alla tragica storia di uno dei suoi protagonisti: il cavallo Boxer.
La fattoria degli animali è una favola nera, in cui lo scrittore britannico costruisce una grottesca metafora per riflettere sulla tragedia della dittatura staliniana che, proprio negli anni dell’uscita del libro, aumentava il proprio potere. Gli animali di una fattoria decidono di mettere insieme le forze per ribellarsi allo sfruttamento impostogli dagli umani e per creare una società più equa e giusta.
Presto, però, l’utopia egualitaria sfocia in una feroce dittatura comandata dai maiali e, in particolare, dal loro leader Napoleone.
Non tutti, però, sembrano accorgersi della svolta autoritaria imposta da Napoleone. In particolare Boxer, un cavallo da tiro forte e dedito al lavoro, uno degli animali che più avevano contribuito alla rivolta contro gli umani, di fronte ai primi segni dell’autocrazia continua a credere che tutto si risolverà, che i piccoli “incidenti di percorso” verranno tolti di mezzo da Napoleone, il quale ha senz’altro a cuore il benessere di tutti gli animali. Anche quando vede con i propri stessi occhi i segni della corruzione (il lusso a cui solo i maiali possono accedere, mentre il resto della fattoria muore di fame), si rifiuta di mettere in dubbio il regime.
Infine, in una delle pagine orwelliane più commoventi, Boxer, reso inabile dal troppo lavoro, viene venduto a un macellaio da quegli stessi maiali dai quali, nemmeno in punto di morte, riuscirà ad emanciparsi.
La storia di Boxer ci mette in guardia dal primo errore che come europei non dovremmo commettere, ovvero quello del Wishful Thinking (o “pensiero speranzoso”).
Il wishful thinking è una strategia fallace di autodifesa messa in gioco dalla nostra psiche - un inganno mentale a causa del quale ci formiamo opinioni sul mondo non sulla base dei fatti, ma sulla base delle nostre speranze. In altre parole, ci illudiamo che le nostre convinzioni più ottimistiche siano vere, perché non siamo in grado di fronteggiare lo sgomento e la durezza della realtà.
Così costruiamo iperboliche speculazioni per giustificare i fatti più semplici; iper-razionalizziamo il comportamento altrui; relativizziamo i mali ed esageriamo i beni; salviamo le apparenze per non dover far fronte (psicologicamente e praticamente) a una realtà scomoda.
Ci convinciamo che i nostri eroi e i nostri leader siano sempre buoni e infallibili. Come Boxer gridiamo al mondo che “Napoleone ha ragione!”, ci rifiutiamo di credere che qualcuno possa volerci del male o che i nostri alleati possano tradirci e cerchiamo così di prolungare una vita di illusioni, fintanto che il cappio si stringe inesorabilmente attorno al nostro collo.
Ma non è così. I fatti ci dicono che per Russia, Cina, e ora anche per gli Stati Uniti, l’Europa è soltanto un’opportunità, nel migliore dei casi, o un ostacolo, nel peggiore. E finché rimarremo inchiodati nelle illusioni speranzose, finché non guarderemo in faccia il dramma dei fatti, non potremo mai affrontarli.
La resa di Gondor
Per parlarvi del secondo rischio che l’Europa sta correndo mi rifaccio a un’altra opera letteraria che ha indelebilmente segnato il mio immaginario: Il Signore degli anelli. In particolare voglio richiamare la vostra attenzione su uno dei personaggi psicologicamente più interessanti dell’intera storia: Denethor, il sovrintendente di Gondor.
Per quei filistei che non conoscono le vicende (mannaggia a voi!), diciamo che Gondor è, nella cartografia tolkieniana, il cuore del regno del Bene - la bianca città dei Re, che si erge come ultimo baluardo di fronte alle tenebre di Mordor, cioè dell’impero dell’ombra, della sopraffazione, del male.
Ai tempi del racconto, tuttavia, Gondor non è retta da un Re, ma da un sovrintendente: Denethor, appunto.
Denethor è un leader inadeguato, che si ritrova, suo malgrado, a dover comandare la più importante città del regno durante l’ora più buia. Ma il suo animo è piegato dal cordoglio, dal dolore per la morte del figlio primogenito, dalla paura di perdere il proprio potere e così, di fronte alla spaventosa avanzata del male, Denethor si abbandona all’accidia e alla disperazione. Si rifiuta di convocare gli alleati, ritenendoli inadeguati; tratta con cinismo ogni invito alla speranza; immagina morto il suo secondogenito, che è in realtà vivo e pronto a combattere.
Assediato dal suo stesso animo, prima ancora che dal suo nemico, Denethor si arrende a un destino che gli sembra inevitabile e si toglie la vita per non dover assistere, vivo, alla propria caduta. Solo che Gondor, come scopriremo, non cadrà, anche se il vecchio sovrintendente non potrà mai vederne la vittoria.
L’esempio in negativo di Denethor, a cui si oppone la fermezza d’animo di Gandalf che salverà la città, ci mette in guardia dal secondo grande pericolo che affligge noi europei: la tentazione di abbandonarci alla paura e di accelerare la nostra fine.
La paura ci immobilizza, ingigantisce le nostre ansie, ci fa sembrare morte anche quelle speranze che sono in realtà vive e, infine, porta con sé il rischio della profezia autoavverante: crediamo così tanto che il nostro destino sia già scritto che, alla fine, quel destino finisce per realizzarsi proprio per colpa nostra.
Il peggior nemico dell’Europa non è Putin, non è Trump, non sono gli altri, ma siamo noi stessi, che, prigionieri della paura e della codardia, rischiamo di non vedere le soluzioni possibili, di darci per vinti perché abbiamo perso la capacità di sperare.
Aristotele definiva la speranza come “un atto della volontà”, la capacità degli uomini di far fronte a sfide complesse, di porsi obiettivi alti, difficili e di lottare per essi. Noi, invece, rischiamo di trasformare la parola “speranza” in un sinonimo di “chimera”, nella timida attesa di un qualche salvatore che ci trarrà fuori d’impaccio.
Neo e l’oracolo
Che fare quindi? Visto che ho iniziato ogni capitolo con una storia, farò lo stesso anche per il finale. Userò un film apparentemente commerciale, ma che è in realtà una delle pellicole più dense di filosofia degli ultimi trent’anni: Matrix.
Matrix è la storia di un mondo capovolto, in cui gli uomini vivono, inconsapevolmente, all’interno di una neuro-simulazione (“Matrix”, appunto: la matrice), creata dalle macchine che hanno preso il sopravvento e che nel mondo reale sfruttano gli uomini per produrre energia.
Thomas Anderson, un hacker noto con lo pseudonimo di Neo, viene risvegliato da questa allucinazione da una banda di ribelli, convinti che egli sia “l’eletto”, colui che libererà l’umanità da Matrix. Dubbioso riguardo alla propria elezione, Anderson viene così condotto dall’oracolo che aveva profetizzato il suo arrivo.
L’oracolo dice al protagonista di non preoccuparsi per il vaso. Quest’ultimo si guarda attorno per capire di cosa stia parlando la donna e, nel farlo, urta un vaso alle sue spalle e lo rompe.
A questo punto l’oracolo invita Neo a meditare su una domanda, apparentemente criptica, ma che segna un punto di svolta nel suo destino: «lo avresti rotto lo stesso se non ti avessi detto niente?».
Sotto a questo episodio si nasconde il cuore di qualsiasi tragedia, dall’Edipo Re in avanti: cercare di sfuggire alle nostre responsabilità non elimina in alcun modo quelle responsabilità, le rende solo più drammatiche.
Neo comprende la lezione e si trasforma. Diventa l’eletto non quando sente parlare per la prima volta della profezia, ma quando sceglie di assumersi le proprie responsabilità e di abbracciare il proprio destino; quando decide di credere in quella profezia, di lasciarsi trasformare da essa.
L’Europa, allora, non deve aspettare che qualcun altro risolva i suoi problemi, ma deve finalmente credere in sé stessa, nel proprio destino europeo. Ritrovare i valori su cui costruire il proprio futuro, scoprirsi di nuovo grande e capace di fare la differenza.
E quando parlo di “Europa”, non parlo delle istituzioni a Bruxelles o di qualche entità metafisica che non si sa bene dove dimori, ma parlo proprio di te, che stai leggendo questa newsletter in questo momento. L’eletto sei tu. Sei tu che per primo devi credere che l’Europa sia possibile, senza lasciarti vincere dalle false speranze e dall’inutile pessimismo, e senza voltare le spalle a questa storia, nella speranza che un giorno la Storia non venga a bussare alla tua porta.
Grazie per avermi letto fin qui, se vuoi puoi farmi sapere che ne pensi rispondendo a questa mail: leggerò con piacere il tuo commento. Ricordati anche di iscriverti alla newsletter se non vuoi perderti i prossimi articoli! Grazie per il supporto e alla prossima settimana.
Quest’oggi non mi limiterò a un solo consiglio. Anzitutto ti suggerisco la lettura dei libri di Orwell da cui sono partito: La fattoria degli animali e soprattutto 1984, due grandi classici della letteratura contemporanea che ci possono insegnare molto sul mondo di oggi. Li ho inseriti nella mia pagina di affiliazione Amazon: se vorrai acquistarli da qui, per te il costo rimarrà lo stesso, ma una piccola percentuale verrà riconosciuta a sostegno del mio progetto.
In secondo luogo, per un’analisi lucida e competente di ciò che sta accadendo in America, ti consiglio di iscriverti alla newsletter di Francesco Costa. In particolare ti consiglio di recuperare quella della scorsa settimana
Infine ti consiglio una delle ultime puntata del podcast di Rick Dufer, che parla proprio di cosa ognuno di noi, nel suo piccolo, può fare per l’Europa:
Ancora una volta Mr Radin lei offre spunti di riflessione importanti, stesi con semplicità per aiutarci a comprendere complessità che ci paralizzano. Negli ultimi mesi evito di assorbire le news, aggiornandomi superficialmente per evitare di pensare seriamente alla politica locale e del mondo. Lo faccio apposta per evitare il senso di impotenza e sgomento che mi sovrastano quando leggo ciò che appare essere la storia più buia che si ripete - una singularity che si avvicina inesorabilmente.
Le sue parole mi aiutano a pensare che anche nel mio piccolo sono viva - e se lo sono non posso aspettare che la storia bussi alla mia porta. Lei Mr Radin offre speranza, non wishful thinking. E mi fa pensare che non posso tradire il mio corregionale Gramsci facendo l’indifferente.
Grazie.
Buongiorno Eugenio, leggo la newsletter alla luce di quanto accaduto ieri allo Studio Ovale e mi rendo conto di quanto in fondo wishful thinking e il pessimismo siano due facce della stessa medaglia: la negazione delle proprie responsabilità e della verità. Pensiamo ai putiniani che distorcono i fatti raccontando come l'Ucraina sia colpevole, Zelensky un criminale e Putin un santo, sembra una costruzione ad arte per legittimare il generale disinteresse e disimpegno verso i valori fondamentali che dovrebbero contraddistinguerci, la libertà, la democrazia. E intanto l'Europa tace...