I conduttori dei Talk Show e la crisi del dibattito
Per uno scontro televisivo veramente regolamentato
Ciao, io sono Eugenio Radin e questa è la newsletter in cui parlo di filosofia e argomentazione: un modo per pensare e salvarsi dal naufragio. Oggi parliamo dei grandi problemi dei dibattiti televisivi e della responsabilità dei loro conduttori.
Prima di partire, ti ricordo che se desideri coinvolgermi in un evento puoi scrivere a eugenioradin@atomicalagency.it
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Al cuore della democrazia
Sin dagli albori della civiltà occidentale, al cuore della democrazia c’è stato il dibattito argomentato. L’apogeo dell’Atene classica (periodo di massima fioritura della democrazia antica) coincise non a caso con l’esplosione delle scuole di oratoria, che insegnavano la nobile arte della dialettica e della retorica, e con la redazione degli scritti platonici, nei quali la ricerca filosofica assumeva la forma di un processo dialogico a più voci.
La democrazia, potremmo anche dire, coincise con l’idea secondo cui la verità non è un qualcosa di dato una volta per tutte e di visibile agli occhi di tutti, ma piuttosto un fluido diluitosi in un pluralismo di punti di vista, che è necessario rapportare in un costruttivo confronto.
Fu probabilmente Aristotele, con i suoi analitici, i suoi topici, i suoi elenchi sofistici e la sua retorica, il primo a dare una forma ordinata ai princìpi di questo dibattito - a regolamentarlo da un punto di vista logico-filosofico. La Res Publica romana, con i suoi Ciceroni e i suoi Quintiliani, ne consolidò le basi teoriche. La scolastica medievale trasformò la Disputatio in una serissima pratica universitaria, di essenziale importanza per sondare le conoscenze di maestri e allievi. E proprio nello stesso periodo in cui la disputa si affermava nelle maggiori aule europee, nascevano i primi esperimenti moderni di condivisione del potere: i Comuni italiani, nelle cui assemblee e nei cui consigli si discuteva l’amministrazione cittadina, mettendo a confronto opinioni di segno opposto.
Al giorno d’oggi, nelle nostre democrazie contemporanee, il dibattito pubblico si è dislocato in più luoghi. Non solo in Parlamento e nelle sue altre sedi ufficiali: il confronto tra opinioni è oggi portato avanti anche nei diversi media di informazione, tra i quali rivestono un ruolo di primo piano i talk show televisivi.
Partiamo allora da una domanda: i dibattiti in TV sono, al giorno d’oggi, un utile strumento di dialogo democratico? Uno spazio in cui confrontare tra loro idee diverse, in cui stimolare il pensiero critico e la riflessione del pubblico?
È una domanda importante, che sta al cuore della nostra democrazia.
Un dibattito professionale
Per provare a rispondere, parto da due esperienze personali che ho avuto ultimamente. Esperienze per certi versi antitetiche, che mi hanno fatto ragionare ancora una volta sull’importanza del buon dibattere e del buon argomentare. Partiamo dall’esperienza positiva.
Qualche settimana fa sono stato nella Svizzera italiana, ospite dell’associazione La gioventù dibatte, per un pomeriggio di formazione rivolto ai docenti, sul tema del dibattito argomentato. Assieme a me sono saliti in Ticino anche Adelino Cattani, fondatore della Palestra di botta e risposta e i ragazzi di Di.Co. - Dibatto e Comunico, che, nel corso del pomeriggio, hanno inscenato un dibattito sulla meritocrazia, regolamentato secondo il protocollo Patavina Libertas.
Cosa intendo dire, quando dico che il dibatto era regolamentato?
Intendo che il protocollo Patavina Libertas (così come altri protocolli di dibattito utilizzati sul territorio nazionale) prevede delle specifiche regole di condotta. I disputanti, insomma, non sono semplicemente chiamati a chiacchierare tra di loro, ma il confronto tra idee è normato secondo modalità che puntano a trarre il massimo dal dialogo: a far emergere tutti gli argomenti a favore dell’una e dell’altra posizione; a sondare la forza di tali argomenti; a testare socraticamente le convinzioni altrui e, infine, a riconoscere non solo le debolezze, ma anche i punti di forza della posizione avversaria.
Le squadre si alternano così in uno scontro serrato ma rispettoso, mentre un moderatore tiene i tempi e si assicura che le regole vengano rispettate da tutti. (Qui trovate un riassunto dello schema di gioco).
Vi assicuro che assistere a un simile dibattito è intellettualmente stimolante, per nulla noioso e, personalmente, anche emozionante: è bello, infatti, vedere ragazzi intenti a portare avanti con convinzione questo strumento democratico e pronti a confrontarsi seriamente su temi così importanti per la nostra cittadinanza. Alla fine si esce con qualche dubbio in più sui propri pregiudizi e con una gran voglia di approfondire.
Per chi fosse affascinato dall’argomento, Palestra di Botta e Risposta e Di.Co. si occupano di diffondere l’arte della disputa nelle scuole di ogni ordine e grado, nelle università e presso altri enti interessati, facendo formazione, organizzando tornei e incontri. Se sei un insegnante, uno studente o un membro di un’associazione e vorresti utilizzare maggiormente il dibattito come modalità formativa o professionale, ti invito a contattarli.
Specifico che questa non è un’adv, ma una sincera volontà di dare spazio a una realtà preziosa e purtroppo poco conosciuta.
Gli enormi problemi del dibattito televisivo
La seconda esperienza che ho fatto è purtroppo molto meno piacevole, ma anche molto più comune.
Qualche giorno fa, colto alla sprovvista dall’influenza, ho passato una serata sul divano (cosa più unica che rara) a fare zapping tra i vari canali televisivi e soffermandomi su alcuni talk show politici che venivano trasmessi.
Il dito sul mio telecomando mi ha trattenuto in particolare su due programmi, molto seguiti: Piazza Pulita, condotto da Corrado Formigli, e Quinta Colonna, condotto da Paolo Del Debbio. Due programmi diversi, uno di sinistra e uno di destra, ma accomunati, come molti altri programmi simili, dalle stesse tragiche dinamiche.
I dibattiti televisivi, oggi, non sono veri dibattiti, ma spettacoli teatrali. Il loro obiettivo non sembra essere quello di stimolare il pensiero critico e il confronto tra opinioni, ma quello di cercare la lite e di fornire agli spettatori semiassopiti dell’arena televisiva un gustoso spettacolo di gladiatori. Come si suol dire: panem et circenses, ma con poco pane e tanti circenses.
Se il declino del dibattito televisivo italiano mi era ben noto, il fatto di assistervi dopo l’esperienza ticinese ha contribuito a evidenziarne ancora di più i vizi. Proviamo a passarne in rassegna alcuni.
1. L’equa rappresentanza
C’è, anzitutto, un problema di rappresentanza. Il dibattito, infatti, funziona solo se le parti in causa sono equamente rappresentate. Ma in televisione quasi sempre l’orientamento politico dell’emittente prevale: si convoca sì un portavoce della parte avversa, ma egli rimane in minoranza: la sua opinione è destinata, già dal principio, a venir schiacciata. Se il dibattito si svolge su un canale di sinistra, il risultato finale dovrà necessariamente pendere a sinistra. La stessa cosa vale per la destra.
Può essere, questo, un vero dibattito?
2. Il rispetto dei tempi
Un dibattito argomentato è sempre scandito da tempi precisi. Non parlo, ovviamente, dei tempi dettati dagli intervalli pubblicitari, ma dei tempi di parola concessi ai diversi interlocutori, che devono essere anch’essi equi e che devono essere rispettati da tutti.
All’inizio gli ospiti dovrebbero avere, ad esempio, cinque minuti a testa per esprimere la loro idea iniziale, prima di dare il via alla fase di confronto. Durante questi cinque minuti a nessuno dovrebbe essere consentito interrompere: pena l’esclusione del dibattito.
Ma nei talk show il parlarsi sopra è parte integrante dello spettacolo. Non esistono tempi di intervento: ognuno è libero di sbraitare quanto vuole e di interrompere arrogantemente chi sta cercando di esprimere il proprio pensiero.
Può essere, questo, un vero dibattito?
3. Il rispetto dell’altro
Il dibattito argomentato si basa sul riconoscimento del valore altrui; sulla consapevolezza che chi ho davanti è il mio avversario, non il mio nemico, e che ciò che sta per dire dovrà essere ragionato con rispettosa attenzione.
Il dibattito è un incontro tra gentiluomini, che richiede anche un certo galateo: l’insulto e l’offesa non sono contemplati.
Ma nei talk show la villania è un’arma privilegiata per prevalere - sminuire la controparte è quasi un obbligo del mestiere del commentatore televisivo. I toni si alzano, l’aria si scalda e presto, anziché dibattere si inizia a combattere.
Può essere, questo, un vero dibattito?
4. Socrate vs Gorgia
In un dibattito argomentato ci si sfida a suon di argomenti, dove per argomento si intende un ragionamento lucido e condotto secondo le regole logiche, che possa dare forza alla posizione di partenza. Al contempo, gli argomenti altrui sono sondati in modo socratico, cioè scavando in profondità nelle loro implicazioni, e portando alla luce tutti quegli elementi che sembravano scontati ma che forse così scontati non erano.
Nei talk show televisivi, invece, gli argomenti sono sostituiti da sofismi e fallacie. Non v’è discussione che non sia colma di sgambetti retorici, di tecniche manipolatorie che passano sotto silenzio. Alle offese ad personam si aggiungono ambiguità, diversioni, errori formali, appelli all’emozione.
Può essere, questo, un vero dibattito?
5. Le falsità non sono ammesse
In un dibattito argomentato, si discute di quegli argomenti per i quali non esiste una verità fattuale condivisa. Tutto ciò che è stato dimostrato in modo inequivocabile, non è oggetto di discussione. Tutto ciò che è palesemente falso e smentito dai dati è lasciato fuori dalla conversazione.
Nei talk show televisivi, invece, pur di aumentare l’audience, si invitano (spesso senza contraddittorio) personaggi ambigui, portavoce di falsità e di infelici propagande, dandogli uno spazio pubblico che non meriterebbero di avere e aumentando così la disinformazione e la propagazione di fake news.
Può essere, questo, un vero dibattito?
La responsabilità di tutto questo
La conclusione è che oggi, in televisione, non esiste alcun dibattito, ma solo una sua storpiatura, che rischia di agire proprio contro quei principi democratici che nel confronto argomentato trovano un mezzo privilegiato di espressione.
Sono probabilmente cose già sentite, ma vorrei arrivare a un punto cruciale sul quale, invece, si riflette troppo poco: di chi è la colpa di questa degenerazione del dibattito pubblico?
Siamo soliti pensare che la scarsa qualità dei confronti televisivi sia legata all’incapacità e alla mala fede dei disputanti. I volti che ci vengono subito in mente sono quelli di Sgarbi, di Cruciani, di Travaglio, di Cacciari, di Corona, ecc.
Io credo che la principale responsabilità di tutto ciò ricada invece sui conduttori, sui presentatori delle diverse emittenti.
Nella parte conclusiva di questa newsletter proverò a spiegare perché.
Il punto decisivo, di cui è fondamentale tener conto, è che non esiste alcun dibattito senza un moderatore. Il moderatore è una figura di fondamentale importanza perché è lui il garante che assicura il rispetto delle regole del gioco.
Esattamente come una partita di calcio non potrebbe funzionare senza arbitro e guardalinee, un confronto argomentato non può avvenire senza qualcuno che abbia il compito di limitarne i confini. E questo compito è esattamente il compito che i conduttori dovrebbero far proprio.
Il mio j’accuse, dunque, è rivolto verso voi conduttori!
Siete voi che avreste il dovere di far rispettare i tempi e i giusti silenzi e che invece assistete compiaciuti al litigio. Dire «State calmi!» o «Così non si fa» non è sufficiente: se veramente pensate che ciò che accade sia ingiusto, avete il potere e l’onere di fermarlo con ferma autorevolezza!
Siete voi che potreste scegliere chi invitare e chi non invitare più, escludendo dai salotti chi ha dimostrato di non saperne rispettare le regole, ma che invece vi piegate alle esigenze dello share e della società dello spettacolo!
Siete voi ad avere il compito di evidenziare palesi falsità, di mantenere il contraddittorio, di garantire un’equa rappresentanza delle diverse opinioni, e che invece, non così raramente, tradite la vostra fondamentale neutralità schierandovi apertamente da una parte piuttosto che dall’altra!
Siete voi che potreste offrire al pubblico una costruttiva occasione per mettere in discussione le proprie convinzioni e che invece guadate allo studio come l’imperatore guarda l’arena, consapevoli di aver regalato ai vostri sudditi un sanguinoso spettacolo volto a nutrire i loro istinti più bassi!
Di mio, proporrei di iniziare ogni dibattito televisivo così come iniziano i dibattiti della Palestra di Botta e Risposta: con la declamazione, da parte di tutti, della Promessa solenne del disputator cortese.
Consapevole che su ogni cosa possono esistere punti di vista diversi;
che verità e giustizia scaturiscono dal confronto civile e dal dibattito leale;
che di norma non esiste una ragione che si contrappone ad un torto, ma diverse ragioni contrapposte;
che è sempre preferibile discutere anche senza deliberare che deliberare senza discutere,prometto di impegnarmi a ricercare gli argomenti migliori a favore della mia posizione;
di valutare, nel contempo, le obiezioni ragionevoli della controparte;
di replicarvi in modo fermo e pacato, individuandone i punti deboli e riconoscendone, almeno in cuor mio, i punti di forza che richiedono risposta, al fine di addivenire ad una migliore comprensione delle cose e degli altri;
Farò del mio meglio per convincere e nel contempo per convivere.
Grazie per avermi letto fin qui, se vuoi puoi farmi sapere che ne pensi rispondendo a questa mail: leggerò con piacere il tuo commento. Ricordati anche di iscriverti alla newsletter per non perderti le prossime uscirte!
Oggi non posso che consigliare questo agevole saggio scritto nel 1994 dal filosofo Karl Popper. A distanza di trent’anni, rimane ancora uno dei più lucidi e interessanti pamphlet a interrogarsi su come la televisione, al di là delle sue enormi potenzialità culturali, abbia tradito il suo intento più nobile, per fornire al pubblico poco più che drammatiche distrazioni.
Se vuoi sostenermi, puoi acquistarlo dalla mia vetrina affiliata Amazon: il prezzo per te resterà lo stesso, ma una piccola percentuale andrà a riconoscimento della mia attività. Grazie!
Segnalo la trasmissione dell' ottimo Gianrico Carofiglio "Dilemmi" (disponibile su Raiplay) dove due invitati dibattono su un tema prestabilito secondo le regole che hai riportato nella newsletter. Forse l'unico esempio di dibattito serio in televisione.
Sì, Eugenio, we have a (little) dream. Sogniamo un dibattito che non sia uno scontro gladiatorio ma una “disputa felice” (Bruno Mastroianni dixit). Sogniamo dibattiti in cui la rappresentatività non sia fasulla. Sogniamo un conduttore che non sia un istigatore, ma un arbitro con cartellino giallo e rosso, capace di smascherare discorsi ingannevoli. Dove le fallacie siano corrette e sanzionate, non applaudite. Dove contino le opinioni e non gli opinionisti. Sogniamo di convincere e nel contempo di convivere (Giuramento del Disputator Cortese di “Palestra di Botta e Risposta” dicit).
W chi sa mantenere e far valere le sue convinzioni mantenendo e facendo valere insieme la relazione con l'oppositore.
Di buon auspicio è una documentata e illuminante tesi su "Il talk show politico. Struttura e fallacie indotte", appena presentata e discussa, il 14 aprile 2025, in Università di Siena da Alessandro Pesce, novello Indiana Jones dei cattivi ragionamenti e delle pessime dinamiche discorsive pubbliche, in particolare del pluralismo e della terzietà apparenti.