Perché ci piacciono tanto i gialli?
Sul circuito della dopamina, ma anche sul nostro bisogno di razionalità.
Ciao, io sono Eugenio Radin e questa è la newsletter in cui parlo di filosofia e argomentazione: un modo per pensare e salvarsi dal naufragio. Oggi però parliamo della mia incapacità di staccarmi da un romanzo giallo, quando ne inizio uno.
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Gli ultimi mesi sono stati piuttosto intensi dal punto di vista delle letture. Come ho già detto, sto lavorando a un nuovo libro e la fase di ricerca e di studio che precede la scrittura ha riempito la mia scrivania e il mio comodino di complessi trattati di filosofia, di saggi, di manuali, ecc.
Questi momenti di studio matto e disperatissimo sono istruttivi non solo per le nozioni che effettivamente si imparano, ma anche perché ci aiutano a capire che, quando vogliamo raggiungere un obiettivo alto, anche le nostre passioni possono trasformarsi in una fatica. Ed è solo accettando la fatica insita in esse che possiamo trasformarle in qualcosa capace di dare frutto.
Ma è innegabile che tutto ciò porti anche a un sovraccarico di stanchezza mentale e che è importante trovare dei modi per ricordare a sé stessi che quelle passioni sono, anzitutto, passioni!
Così la scorsa settimana, dopo aver terminato la lista di letture che ritengo fondamentali per la successiva fase di progettazione del libro, ho deciso di fare una pausa, di mettere per un attimo da parte lo studio e di dedicarmi a una lettura di puro piacere e intrattenimento. Spulciando tra la libreria ho scovato un vecchio romanzo di Agatha Christie: C’è un cadavere in biblioteca, acquistato molti anni fa e poi dimenticato nella seconda fila dei miei scaffali.
Ho aperto la prima pagina e ho iniziato a leggere e, così come mi succede ogni volta che leggo qualcosa di questa autrice, sono stato completamente assorbito dalla storia.
Quando dico completamente, intendo dire che la lettura è diventata un’attività totalizzante. Sentivo la necessità di andare avanti nella lettura in modo quasi spasmodico, in ogni possibile buco di tempo: in bagno, durante il pranzo, nelle pause caffè…
La sera durante la quale ho terminato il romanzo, ho letto per ore di fila, decidendo persino di rimandare al giorno successivo il lavaggio delle stoviglie della cena (e Dio solo sa quando io detesti andare a letto con i piatti sporchi sul lavello!). Ovviamente avevo già ordinato un nuovo libro della Christie (Assassinio allo specchio) che sto leggendo in questi giorni.
Mi considero un lettore forte, sono abituato a leggere molto, ma devo dire che questa compulsione, questo rapimento mentale, si presenta solo con i romanzi gialli (e in poche altre occasioni). So di non essere l’unico a sortire questi effetti e, non a caso, il genere giallo è uno dei più venduti e dei più amati in molti Paesi. Credo allora sia lecito porsi la domanda: perché i gialli ci piacciono così tanto?
Qui sotto proverò a dare due possibili risposte: una di tipo neurologico, l’altra di carattere filosofico.
Un genere senza centro
Nel suo saggio Romanzieri ingenui e sentimentali, lo scrittore turco Orhan Pamuk introduceva il concetto di “centro del romanzo”. Tutti i grandi romanzi, sostiene Pamuk, hanno un “centro”, ovvero un significato profondo che trascende i semplici eventi, che non trova uno spazio preciso nel racconto, ma che si afferra indagando la struttura complessiva del testo, i suoi significati metaforici, le riflessioni meta-narrative. Per fare qualche esempio: il centro di Moby-Dick potrebbe essere la lotta titanica tra volontà umana e determinismo naturale; il centro de I promessi sposi è il valore della provvidenza, ecc.
Ebbene, ho l’impressione che questo centro, nei gialli, sia quasi totalmente assente. I gialli sono un genere di consumo (nel senso che una volta consumati, terminati, hanno ben poco da lasciarci se non il ricordo di una piacevole lettura) che solo raramente hanno significati che vanno al di là della risoluzione del mistero. Certo, ci sono anche qui le doverose eccezioni: autori che utilizzano la struttura del giallo per parlare d’altro, per dire qualcosa in più (pensiamo, solo per restare in Italia, a Leonardo Sciascia o a Umberto Eco) ma nella maggior parte dei casi non è così. Quando leggiamo un romanzo della Christie non siamo spinti a compiere chissà quale riflessione metafisica sull’esistenza del male, sull’etica, sulla fragilità del diritto: la nostra attenzione è unicamente rivolta allo svelamento del colpevole. Una volta avvenuto questo svelamento, il romanzo si esaurisce, si consuma. Ma perché, nonostante questa mancanza di centro, siamo così spinti a volerne ancora, ad andare avanti?
Questo ha probabilmente a che fare con la struttura con cui il giallo è composto: esso funziona come un climax di tensione crescente, che ha il suo picco e il suo sfogo nella risoluzione finale del caso. È come se la storia si componesse di una serie di piccole spinte, di piccoli suggerimenti che puntano tutti verso le ultime pagine, che il lettore vuole raggiungere il prima possibile per avere un senso di ricompensa e di euforia. Un’euforia dovuta alla sensazione di comprensione e di conoscenza: vogliamo sapere e non ci diamo pace fintanto che non ci vediamo chiaro. Ogni piccola rivelazione, ogni nuovo indizio, ci dà una scarica di adrenalina e di soddisfazione e ci spinge a ricercarne ancora, a non fermare la lettura.
Il sistema della ricompensa
La mia prima ipotesi riguardante il perché ci piacciono i gialli, riguarda proprio questo meccanismo di ricompensa. Non ho trovato studi in merito per cui è bene precisare che rimane un’ipotesi, ma personalmente mi sembra convincente e mi piacerebbe se qualcuno, in futuro, la indagasse.
Credo che la lettura di questo particolare genere letterario, proprio a causa della struttura con cui esso è organizzato, comporti un forte rilascio di dopamina e la conseguente attivazione del sistema della ricompensa, che ci spinge a volerne di più, a non riuscire a smettere.
Per chi volesse approfondire la questione, consiglio il testo di Anna Lembke: L’era della dopamina, che ho trovato molto interessante nei primi capitoli, dove viene illustrato in modo chiaro e divulgativo il funzionamento di questo meccanismo. Qui cercherò invece di dare una breve visione d’insieme.
Il sistema della ricompensa è un meccanismo neurologico con cui il nostro cervello ci spinge a ripetere quelle esperienze che abbiamo trovato gratificanti. In sostanza: quando sperimentiamo uno stimolo gratificante il nostro cervello rilascia una sostanza chiamata dopamina. Una volta raggiunti i neurorecettori, la dopamina ci dona una sensazione di piacere e ci induce a ricercare ancora quello stimolo gratificante. Ma il nuovo stimolo gratificante libererà altra dopamina e di nuovo ci spingerà a cercarne ancora, e ancora, e ancora.
A questo punto credo che molti di voi abbiano già intuito i rischi di questo meccanismo (ed è proprio su questi rischi che si concentra il saggio di Anna Lembke): se non riusciamo a controllarlo, esso conduce infatti a una vera e propria dipendenza. Il sistema della ricompensa e il rilascio della dopamina sono infatti legati a moltissime delle dipendenze di cui tutti i giorni facciamo esperienza diretta o indiretta: alla dipendenza dalle droghe, dal gioco d’azzardo, dalla pornografia, dai videogiochi, dai social network…
Ecco, credo che anche nella passione che molte persone, me compreso, nutrono verso i romanzi gialli, il rilascio della dopamina giochi un qualche ruolo. I piccoli indizi, i colpi di scena, le intuizioni che si susseguono lungo le pagine, i cliffhanger di fine capitolo agirebbero come stimoli gratificatori, che comportano il rilascio di dopamina. Proviamo una sensazione di ebbrezza, di eccitazione e siamo spinti a leggere ancora, per riprovare quella sensazione. Lo svelamento finale del colpevole funzionerebbe in tal senso come uno stimolo molto forte che ci può portare, come è successo nel mio caso, ad iniziare subito una nuova lettura.
Per questo, rispetto ad altri generi, le crime story ci tengono incollati alla pagina: perché non si strutturano su un centro trascendente, ma su un meccanismo gratificatore, che mette in circolo la dopamina e ci spinge a volerne sempre di più. Il loro movimento non è verticale, non ci elevano verso considerazioni più alte, ma orizzontale: ci spingono a correre sempre più veloci verso il traguardo.
La lettura come dipendenza
È lecito chiedersi, allora, se la lettura dei gialli possa diventare una dipendenza. Per quanto possa far sorridere, credo che la risposta sia affermativa.
Certo, non dovremmo mettere sullo stesso piano la dipendenza dalla lettura con, ad esempio, la dipendenza dal gioco d’azzardo, che ha un livello di gravità ben diverso, ma credo sia comunque possibile fare un parallelismo tra una certa compulsività nella lettura e il funzionamento mentale di alcune dipendenze.
La stessa Anna Lembke (che è una psichiatra che nel suo lavoro di tutti i giorni tratta proprio le dipendenze), nel saggio già citato dichiara di aver avuto, per un breve periodo della sua vita, una forma di dipendenza dai romanzi rosa. Questa dipendenza, apparentemente sciocca, l’aveva portata a privarsi del sonno e a peggiorare la propria attività lavorativa. Credo che il mio stesso essere andato a dormire rimandando il lavaggio dei piatti (situazione che, vi assicuro, in una condizione di normalità avrei cercato di evitare in tutti i modi) sia un piccolo sintomo di dipendenza, che mi ha condotto a trascurare le mie abitudini virtuose per dedicarmi alla ricerca di piacere.
Tutto ciò rappresenta un importante spunto sul quale riflettere (senza ovviamente perdere il senso della misura).
Ma ho il sospetto ci sia anche un’altra ragione, più filosofica, per la quale i gialli esercitano un certo fascino su di noi. Ne ho parlato spesso nelle presentazioni dal vivo del mio scorso libro, Argomentare, Watson!, ma credo di non aver mai affrontato l’argomento in questo spazio.
Il bisogno di razionalità
I romanzi gialli, se ci pensiamo bene, altro non sono che una bellissima bugia.
Sono la rappresentazione di un mondo in cui tutto è perfettamente razionale, in cui la realtà è una sorta di puzzle nel quale i diversi tasselli (accadimenti, azioni, emozioni, sguardi, gesti, ecc.) si combinano perfettamente tra loro; in cui ogni cosa trova il suo posto e in cui l’intelletto è sempre perfettamente capace di eliminare il velo dell’ignoranza e di far emergere la luce della verità.
Nel giallo non c’è spazio per il caso, per la follia, per la pulsione, per l’imprevedibilità (ben diverso, da questo punto di vista, è il noir, che si gioca tutto sull’impossibilità di comprendere, sulle ombre, sulle nebbie della ragione). Nel giallo tutto è comprensibile, misurabile, premeditato.
Ma questa rappresentazione del mondo in cui la logica vince su ogni cosa, è una rappresentazione vera? No.
Per questo dico che i gialli sono bugie. La realtà, lo sappiamo, è più simile al noir, dove la ragione è una fiammella che può certamente illuminare la strada davanti ai nostri occhi [ne avevamo parlato qui], ma dove quel tratto di strada illuminata rimane comunque un piccolo tratto, immerso in una notte oscura e senza luna.
I gialli dunque sono bugie, e tuttavia sono bugie bellissime perché, fintanto che rimaniamo immersi nella loro trama, essi ci permettono di vivere come se l’universo fosse un ordinamento perfettamente comprensibile, e in questa finzione troviamo sollievo, fiducia, pace.
Ecco la seconda ragione per la quale queste immergerci in queste storie ci appaga così tanto. I gialli ci piacciono perché sono un ambiente controllato, puro, che soddisfa la nostra parte razionale e nel quale siamo perfettamente in grado di orientarci.
Esercitarsi a vivere
Non è che questa finzione sia da buttare per il solo fatto di essere semplificatoria. Gli ambienti controllati sono da sempre importanti palestre in diversi campi. Le sperimentazioni scientifiche; le esercitazioni militari; l’addestramento astronautico; gli allenamenti per soccorritori e vigili del fuoco: sono solo alcuni esempi di ambiti molto importanti che si servono di ambienti controllati per imparare ad affrontare le situazioni reali con maggior prontezza.
Gli ambienti controllati, in cui la propria azione si basa su regole fisse e nei quali ogni irrazionalità è prevista e tenuta sotto controllo sono fondamentali nella nostra crescita sin da bambini: cos’è, alla fin fine, il gioco, se non una modalità di apprendimento in cui, all’interno di un ambiente controllato, fatto di regole precise, familiarizziamo con le dinamiche che poi incontreremo nel mondo?
Queste palestre ci servono per imparare a vivere, per prendere confidenza con quegli strumenti che, una volta nel mondo, possono rappresentare un’ancora di salvezza.
Forse, allora, i gialli possono rappresentare una preziosa palestra di razionalità. Ben consapevoli che il mondo là fuori ha più ombre che luci, è importante comunque imparare a direzionare quelle luci, per non inciampare al primo scalino.
Grazie per avermi letto fin qui, se vuoi puoi farmi sapere che ne pensi rispondendo a questa mail: leggerò con piacere il tuo commento. Ricordati anche che puoi condividere il post con i tuoi contatti, per aiutarmi a diffonderlo!
Agatha Christie, comunque, è una degli autori che hanno segnato il mio ingresso nel mondo della lettura. Magari la dipendenza ha giocato un qualche ruolo positivo in questo, ma il mio passaggio da non-lettore a lettore forte è passato sicuramente per alcune delle sue storie più incredibili.
C’è ancora moltissimo della Christie che non ho letto, ma qui sotto vorrei suggerirci quelli che, tra ciò che conosco, sono secondo me i suoi vertici. Sono romanzi molto molto celebri, specialmente tra i cultori del giallo, ma credo che anche chi non è così affezionato al genere dovrebbe leggere qualcuno di questi lavori che sono diventati, nel tempo, dei veri e propri classici, difficili da dimenticare. Se volete potete acquistarli dalla mia pagina di affiliazione Amazon: in questo modo una piccola percentuale andrà a sostegno del mio progetto di divulgazione.
Ma veniamo ai titoli: Dieci piccoli indiani è per me il più bel giallo di tutti i tempi: una storia incredibile, tensione costantemente alta, location suggestiva, colpi di scena. Spettacolare! Assassinio sull’Orient-Express è forse il titolo più celebre della Christie, con protagonista il suo personaggio più iconico: il detective Hercule Poirot. L’autrice gioca con la psicologia del lettore ma anche qui, indovinare il colpevole è praticamente impossibile. L’assassinio di Roger Ackroyd ha una trovata narrativa a mio parare geniale, ma non posso dire di più senza il rischio di fare spoiler! Buona lettura!
In tema di gialli, consiglio davvero a tutti gli appassionati di recuperare i tre racconti di Edgar A. Poe, "I delitti della Rue Morgue", "Il misterioso caso di Marie Roget", e "La lettera rubata". Il personaggio di Auguste Dupin è il primo detective nella storia della letteratura, e i racconti sono scritti divinamente.
Articolo eccezionale! Riflessioni che mi aprono moltissimi ragionamenti, in particolare sul tema della soddisfazione del piacere come motore del vivere... È così? In fin dei conti è sempre quello? Inoltre, in ottica educativa e di educatrice alla lettura, rifletto sul rapporto del pubblico giovane con la lettura, sempre più ostica penso proprio per il rapporto tra sforzo richiesto e piacere... Nei generi prevale di certo quello "senza centro", sempre più negli anni, per la difficoltà di cui sopra e per quanto risulti complesso raggiungere il livello metanarrativo, della riflessione, del soffermarsi, del pensiero critico, di quello autoriflessivo. Mi domando dove si ponga la lettura nel percorso di creazione di uno sguardo profondo e critico se leggere si limita a libri senza centro e a lettura dopaminica (dove non intendo il piacere intellettuale più adulto nel trovarsi di fronte a libri "con centro", in cui poter andare oltre); sarebbe il libro "con centro" a diventare lo strumento per diluire la ricerca di un piacere istantaneo e fomentatore di dipendenza? (ancora maggiore nel fenomeno di altri consumi giovanili, appunto videogiochi, serie tv, cibo?, relazioni tossiche, pornografia). Come si "educa" l'atteggiamento di regolazione della ricerca del piacere per consentire il passaggio ad altri livelli di godimento/di letture e per allontanare il "rischio dipendenze"?