La filosofia è poco pratica?
Perché abbiamo la sensazione che questa materia sia così lontana da noi
Ciao, io sono Eugenio Radin e questa è la newsletter in cui parlo di filosofia e argomentazione: un modo per pensare e salvarsi dal naufragio. Oggi vorrei parlare della filosofia come pratica di vita.
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Una materia inutile?
C’è un famoso adagio, che circola nelle università umanistiche, il quale dice che «la filosofia non serve a nulla, perché non è serva di nessuno». Da persona che si occupa di filosofia e da laureato in filosofia dovrei forse essere onorato di questo detto, ma vi confesso che l’espressione ha sempre suscitato in me un certo fastidio, come di una vuota formula retorica che nasconde, in una scusa non richiesta, un’accusa manifesta.
L’ingegnere, l’informatico o il neuroscienziato che, perplessi sull’utilità della filosofia, si sentissero rispondere in tono altezzoso che «la filosofia non serve a nulla perché non è serva di nessuno» farebbero bene a ridere di gusto e a confermare il proprio sospetto. Il fallace gioco di parole che confonde il “servire” inteso come “essere utili” con il “servire” inteso come “essere servi” non fa altro, infatti, che mostrare all’interlocutore il volto peggiore della filosofia: quello che riduce questa disciplina a un esercizio sofistico per lingue lunghe.
Il mio timore è che questa ostentata superiorità nasconda, come spesso accade, una forte insicurezza - che gli stessi appassionati di filosofia, infarciti di nozioni e di esoterismo, abbiano in realtà dimenticato il vero servizio che la filosofia può offrire, la sua fondamentale utilità pratica.
Diverse forme di utilità
Sgomberiamo il campo da equivoci: la filosofia non è utile allo stesso modo in cui sono utili l’ingegneria, l’informatica o le neuroscienze (o molte altre discipline che non sto qui a elencare). Tuttavia ciò non significa arrendersi alla sua inutilità. Essa, infatti, può avere molte applicazioni con concrete ricadute nella vita di tutti i giorni. Faccio alcuni esempi:
La logica è, in tutto e per tutto, una branca della filosofia. Essa sta alla base non solo della matematica e di altre scienze, ma anche della nostra capacità di ragionare in modo lucido e corretto. Chi pensi che la logica non abbia alcuna utilità, anche solo per provare a dimostrare questa sua tesi, dovrebbe fare uso della stessa logica.
L’argomentazione, cioè la capacità di costruire discorsi validi e coerenti senza cadere vittime di inganni retorici, fallacie e fake news, è una competenza chiave della filosofia. Conoscere meglio l’argomentazione ci permetterebbe di riconoscere quando un discorso è manipolatorio o privo di fondamento, abilità utile sia a livello individuale, sia a livello collettivo e politico.
La filosofia sviluppa l’abitudine a porsi buone domande, a guardare ai fatti e ai problemi da una prospettiva inedita, a eliminare il pregiudizio, a mettere in discussione ciò che, fino ad ora, non era mai stato discusso. In questo senso essa è una vera e propria palestra di pensiero laterale, fondamentale sia in ambito manageriale sia per affrontare con consapevolezza le nuove sfide che il nostro tempo ci pone davanti.
Gli esempi che ho citato, chiaramente, non sono esaustivi e sarebbero molti ancora gli ambiti da enumerare. Ma non è mia intenzione fornire un decalogo delle virtù della filosofia. Vorrei invece spingermi più in profondità nella questione.
Il punto è che, sebbene nel tempo ce ne siamo scordati, la filosofia è stata per molti secoli, prima di ogni altra cosa, proprio una pratica. Ed è forse su questo concetto di filosofia come pratica di vita che dovremmo ritornare ogni qual volta ci assale il dubbio della sua inutilità.
La filosofia come pratica
Se oggi pensiamo alla filosofia come a un sapere puramente teoretico, fumoso e lontano dalla vita quotidiana, è perché gli sviluppi storici della filosofia hanno portato, più o meno consapevolmente, in questa direzione. Ma è bene ricordare che per molti secoli la filosofia non è stata questo, bensì una pratica di esercizi “spirituali” che coinvolgeva l’intera vita dei suoi adepti. La scuola di Pitagora, di Socrate, il primo platonismo, lo stoicismo e l’epicureismo tardo antichi (solo per citare le correnti più celebri) sono state anzitutto questo: una palestra per imparare ad affrontare la vita con maggiore consapevolezza. Palestra che alcune volte, come nel caso dei pitagorici, coinvolgeva non solo aspetti conoscitivi, ma anche, ad esempio, la dieta alimentare.
Gli stoici dichiarano esplicitamente che per loro la filosofia è un «esercizio». Come scrive un grande storico della filosofia antica, Pierre Hadot:
ai loro occhi la filosofia non consiste nell’insegnamento di una teoria astratta, e meno ancora in un’esegesi di testi, ma in un’arte di vivere, in un atteggiamento concreto, in uno stile di vita determinato, che impegna tutta l’esistenza1.
Le filosofie antiche non si situano solo nell’ordine della conoscenza, ma nell’ordine dell’esistenza. Non insegnano solo teorie, ma pratiche che coinvolgono, ad esempio: il controllo delle emozioni; il mantenimento di uno stile di vita sobrio e lontano dall’eccesso; l’allenamento dell’attenzione; la liberazione dalle preoccupazioni mondane; l’arte del dialogo; la preparazione ad affrontare con consapevolezza e coraggio il dolore e la morte; la meditazione; ecc.
Per Seneca, per Epitteto, per Socrate, la filosofia è una «maniera di esistere nel mondo», che dev’essere praticata in ogni istante; che deve trasformare l’intera vita.
Greci e Romani tengono conto di una distinzione che, ai giorni nostri, è ormai sfumata: quella tra la filosofia in sé (che è appunto una pratica) e il discorso sulla filosofia (che è ciò che per lo più facciamo oggi):
Quando si tratta d’insegnare la filosofia, si deve proporre una teoria della logica, una teoria della fisica, una teoria dell’etica. Le esigenze […] pedagogiche, obbligano a fare queste distinzioni. Ma la filosofia stessa, e cioè il modo di vivere filosofico, non è più una teoria divisa in parti, ma un atto unico che consiste nel vivere la logica, la fisica e l’etica. Allora non si fa più la teoria della logica, ossia del ben parlare e del ben pensare, ma si pensa e si parla bene […], non si fa più la teoria dell’azione morale, ma si agisce in maniera retta e giusta2.
Tra cristianesimo e modernità
Come si è passati, allora, da quella che gli antichi consideravano l’autentica filosofia, al discorso sulla filosofia? Con un cammino lento, che passa per due step fondamentali.
Il primo step coincide con la diffusione del cristianesimo e, più in particolare, con la diffusione degli ordini monastici, che hanno ereditato e assorbito quegli “esercizi spirituali” che un tempo erano stati un proprium delle scuole filosofiche.
Piano piano, quella «attenzione verso di sé» che era stata l’atteggiamento tipico del filosofo, diventa l’atteggiamento tipico del monaco, ben riconoscibile, ad esempio, negli scritti di Origine o del mistico Eckart o di Ignazio di Loyola, il fondatore dei Gesuiti, il cui famoso libro Exercitia Spiritualia affonda le radici proprio nella filosofia antica.
La conseguenza di questa trasformazione è che le pratiche di vita (la meditazione, la liberazione dalle passioni mondane, il confronto con il dolore e con la morte, ecc.) diventano un aspetto del rito e degli esercizi religiosi, mentre la filosofia si trasforma in ancilla theologiae, il cui compito è quello di difendere, con una logica rigorosa ma molto teoretica, i dogmi della fede.
Il secondo step si ha con l’avvento della modernità e con la diffusione dell’epistemologia. Già Cartesio aveva tracciato una distinzione tra mente e corpo, tra res cogitans e res extensa, indirizzando la filosofia verso lo studio del mentale e relegando il corporeo e il materiale a questione secondaria. Ma è nel momento in cui si diffonde il razionalismo illuminista e la fiducia nei confronti della capacità conoscitiva umana aumenta, che lo scarto si fa incolmabile.
I pensatori più importanti del Settecento, come Hume e Kant, portano la filosofia a interrogarsi soprattutto su un punto: ovvero sulle condizioni di possibilità della conoscenza. È in questo secondo momento, che segna una tappa fondamentale nella storia della filosofia, che questa disciplina diventa qualcosa di sempre più tecnico e teoretico.
Ritornare alla pratica
Oggi che la pratica religiosa è ormai abbandonata dalla maggior parte degli europei, e che il progresso delle scienze rischia di trasformare la filosofia in un’ancella delle cosiddette discipline STEM, abbiamo la necessità di recuperare questo valore pratico della filosofia. Dobbiamo cioè tornare a utilizzare la filosofia non soltanto come metodo di indagine per le grandi questioni del mondo (il che senz’altro resto necessario) ma come esercizio di vita buona.
La primaria utilità della filosofia è dunque quella di educarci alla cura di noi stessi, alla consapevolezza che buona parte della felicità che può animare la nostra vita non passa per i nostri successi, per la nostra fortuna, per la nostra salute, né per i tanti progressi tecnologici che possono senza dubbio migliorare le nostre condizioni di vita. La nostra felicità passa invece per la nostra capacità di conoscere noi stessi; per il modo con cui impariamo a reagire agli eventi gioiosi e tristi che puntellano la nostra esistenza; per la capacità di dialogare efficacemente con gli altri, ovvero di instaurare solide relazioni con il prossimo; per la nostra abilità di elaborare il dolore senza fuggirlo; per il nostro coraggio di affrontare gli imprevisti con serenità, senza pretendere che essi non si presentino mai.
Tutti questi insegnamenti sono restati al cuore della pratica filosofica per molti secoli. Ne hanno rappresentato, e ne rappresentano tuttora, la massima utilità e la massima realizzazione.
Ti ringrazio in ogni caso per avermi letto fin qui. Se vuoi puoi farmi sapere che ne pensi rispondendo a questa mail: leggerò con piacere il tuo commento. Ricordati anche di iscriverti alla newsletter per non perderti le prossime uscirte e di condividerla con i tuoi contatti!
Il testo di Hadot che ho citato in questa newsletter, comunque, è un testo meraviglioso, che riempie il cuore e la mente. Lo consiglio: sia a chi ha già una base di filosofia sia a chi cerca un punto dal quale partire.
Se vuoi sostenere il mio progetto di divulgazione puoi acquistarlo dalla mia vetrina Amazon: il prezzo per te rimarrà lo stesso ma una piccola percentuale mi verrà riconosciuta dalla piattaforma. Grazie e buona lettura!
P. Hadot, Esercizi spirituali e filosofia antica, Einaudi 2002, p. 31
Ibid. p. 158
Grazie Eugenio, per diversi motivi, che evito di elencare per non tediarti, non ho studiato un granché in gioventù. Ho solo avuto la fortuna di crescere in una famiglia nella quale ero l'unico "caprone". In questo modo, quasi per osmosi, almeno la curiosità mi è stata accesa. Attraverso i tuoi video e i tuoi scritti ho la possibilità di alimentarla. Per istinto ho sempre provato un fastidio fisico ai luoghi comuni sullo studio delle materie umanistiche. Come se essere "utili" dovesse essere riconosciuto solo come parte di un ingranaggio che non richieda di più dello stringere ognuno il suo "bullone". Non capendo che una persona più consapevole e in grado di affrontare la vita sapendo, almeno in parte, dove poggiano i suoi piedi, quel bullone lo stringerebber meglio, per se stesso e per gli altri.
Con infinita stima. Alessandro Piccoli
Interessante pensare alla filosofia come un’educatrice di noi stessi e della società. Altro che inutile…
Proporresti la “pratica filosofica” già ai bambini? Te lo chiedo da maestra di scuola primaria